Cosa c’è che non va nell’essere woke?

A prima vista c’era effettivamente qualcosa che non mi tornava, ma per capire cosa fosse ho dovuto mettere in pausa la serie, andare a prendere l’eBook e riaprire il libro.

Fondazione, il capolavoro di una vita di Isaac Asimov, il celebre scrittore di fantascienza, anzi a buon diritto uno dei padri fondatori della fantascienza moderna, inizia con la frase

Gaal Dornick was a boy…

A boy. Alzo lo sguardo verso la televisione e ritrovo Gaal Dornick nell’adattamento televisivo prodotto da AppleTV. Donna. Stessa sorte per un altro protagonista del libro, Salvor Hardin. Diventato donna anch’egli.

È questo apparentemente insignificante episodio il primo pensiero che mi è balenato in mente mentre leggevo questo articolo a firma Pietro Molteni sul blog di Inoltre.

Il volo tra la trasposizione video della serie di romanzi di fantascienza di Asimov e l’articolo di Molteni che ho linkato sopra può apparire pindarico, ma una volta, da qualche parte, mi pare di aver sentito dire che questa mania dell’inclusività a ogni costo sia un sintomo di wokeism e forse è proprio per questo motivo che ho collegato le due esperienze.

Lungi dal voler essere polemico con l’ottimo Molteni che leggo sempre con piacere, uso volutamente quella formula così imprecisa e generica per dare sostanza a una mia impressione: se chiedete a 100 persone diverse di definire cos’è woke, di definizioni ne otterrete 101 e visto che perimetrarne l’utilizzo è praticamente impossibile, per cercare di capire almeno la semantica del vocabolo, dobbiamo tornare alle fonti e ricercare il contesto in cui questo si è inizialmente diffuso.

L’aggettivo #Woke e il suo sostantivo #Wokeness entrano nel lessico comune intorno agli anni ’10 del 21esimo secolo con il movimento BLM, BlackLivesMatter, a significare il risveglio della coscienza nera in un mondo comandato dai bianchi. C’è chi ne fa risalire l’ispirazione alla canzone Master Teacher (2008) di quell’immensa artista black che risponde al nome di Erykah Badu e nella quale si ripete quasi a sfinimento la frase “I stay woke“.

Il termine è talmente calzante e intriso di significato che presto viene adottato anche in altri contesti, tutti riconducibili a posizioni politiche progressiste, sia dal lato liberal americano sia liberale in senso classico.

Dal movimento femminista a quello per la liberazione sessuale e dell’identità di genere, il decennio successivo vede nel mondo fermentare la coscienza woke. E Hollywood non è da meno, è tutto un fiorire di inclusione, diversità, equità. Di donne, laddove i protagonisti sono uomini, di gay laddove la storia narra di straight.

Molteni nel suo articolo descrive la recente presa di posizione di Mark Zuckerberg, il padron di Meta, la società che controlla Facebook, Instagram, WhatsApp e un quarto continente a scelta, riguardo alle policy DEI (Diversity, Equity, Inclusion) da essa perseguite. O per meglio dire, da essa non più perseguite perché tacciate di limitare il Free Speech e la libertà di pensiero.

In questa decisione, Zuck, è però arrivato buon secondo, a ruota della sua “nemesi” Elon Musk, l’ancor più eccentrico miliardario proprietario di X, Space X, Tesla e, tra qualche giorno, della parte statunitense del continente nordamericano, da tempo fermo detrattore di tutto ciò che, secondo lui (ricordate la storia delle 101 definizioni?), è wokeism.

Il wokeism, o wokery, è un termine associato al woke e di cui il dizionario inglese Cambridge ci dà una definizione ben precisa. È wokeism

un modo di riferirsi agli atti e opinioni di persone che sono particolarmente consapevoli dei problemi sociali come razzismo e disuguaglianza…

Una bellissima definizione, che ti rimette in pace con l’umanità. Ecco, peccato che sia stata coniata in senso dispregiativo, infatti la stessa definizione continua

… usato da altre persone che pensano che questi atti e opinioni siano andati troppo oltre

Da tempo mi chiedo come sia possibile che un concetto così vago abbia avuto una presa così forte nell’immaginario collettivo e sinceramente non so cosa ci sia da disprezzare nel genuino afflato di un essere umano nel chiedere equità, inclusione e rispetto per la diversità sua e degli altri, ma ho un sospetto: il concetto di wokismo è talmente evanescente che alla fine uno ci mette dentro tutto ciò che gli sta sulle palle: dall’esecrabile attitudine della Cancel Culture, ai froci che a casa loro facessero quello che vogliono, ma per strada, signora mia, che schifo! E talmente aleatorio che non ho ancora chiaro se sia wokismo dare a una pur talentuosa attrice la parte di un uomo oppure è solo mancanza di rispetto per l’immensa opera originale di un grandissimo scrittore.

Però qualcosa la so: la mossa di Zuckerberg mi crea almeno un paio di problemi.

Il primo: non posso fare a meno di notare che, come già successe ai tempi con X ed Elon Musk, abbandonare il wokismo sui social significa cancellare le policy di fact checking (nell’annuncio di Meta viene specificato che anche sui loro social verrà attivato un sistema di Note della Collettività paragonabile a quello già implementato su X), quando in teoria l’uno e le altre dovrebbero viaggiare su piani diversi.

Dovrebbero, perché la realtà ci racconta altro: laddove si sbraita al wokismo, rule of thumb, c’è di mezzo qualche sopruso figlio di una mentalità retrograda o razzista tout court. E qui arrivo al secondo tarlo.

Perché si dovrebbe disprezzare l’atteggiamento di chi è sensibile ai temi dell’ingiustizia sociale?

Io credo sia tutto degenerato proprio nel passaggio tra wokeness e wokeism, ovvero tra la descrizione di una sacrosanta attitudine a un -ismo, una categoria del pensiero. Da quel momento abbiamo abdicato alla comprensione delle idee e delle posizioni dell’altro e ci siamo dedicati allo scontro quasi “religioso”. Pro e contro. Succede sempre così, con gli -ismi.

E, lasciatemelo dire, se trovo la ricerca dello scontro da parte di bigotti conservatori, sui temi caldi dei diritti civili, noiosamente scontata, dall’altro lato ogni volta che sento la parola wokismo uscire dalla bocca di chi si definisce liberale mi viene un tonfo al cuore.

Ha ragione Molteni quando dice che il wokismo ha fatto male alle ragioni dei diritti, ma la domanda “cui prodest?” bisogna farsela: chi ha avvantaggiato la definizione di una categoria del pensiero chiamata wokismo?

Chi quei diritti li vede come l’aberrazione del suo personale concetto di essere umano. Sic.