Contrordine, compagni, si torna indietro

Stamattina ho letto questo bell’articolo di @alfo_lanzieri.

La tesi descritta è che la fissazione per tutto ciò che è naturale, inalterato dall’uomo, spiega (e, probabilmente, si spiega con, in una spirale viziosa) il regresso culturale e scientifico italiano.

Ché poi, vorrei consigliare ai prof. di letteratura italiana delle superiori di spenderla qualche lezione in più sul Leopardi, riguardo proprio l’aspetto della “bontà della natura”. Ma lasciamo perdere.

Dell’articolo del prof. Lanzieri, un aspetto mi ha colpito: l’assoluta vicinanza tra destra e sinistra quando si parla dei “bei tempi andati”, di quell’Arcadia distopica e ucronica, di quell’età dell’oro mai esistita, ma che nell’immaginario collettivo tutti collochiamo, più o meno, nella nostra adolescenza: il mare pulito dove si era soliti pucciare le friselle, ma ora non si può più fare perché ci vogliono avvelenare. Quando mai l’avete fatto? A Napoli, in Sicilia, quando, fatemi sapere: quando?

Per non parlare dei mesi interi di vacanze che i nostri genitori ci garantivano, non si aveva niente, ma si aveva tutto. Ecco, concentriamoci su quel “non si aveva niente” e scavate nella vostra memoria cercando i ricordi delle cene fuori con la famiglia, o dei pomeriggi al cinema o degli sfizi che vi toglievate. Ritornano alla mente tutti, vero?

Ecco, forse perché erano occasioni più uniche che rare. Se vi chiedessi di dirmi qual è l’ultimo ristorante che avete frequentato, probabilmente ieri sera, ci dovreste pensare su prima di rispondere.

I vincoli di bilancio c’erano allora e ci sono oggi. Così come le scelte di spesa: i nostri genitori sceglievano le vacanze di un mese, noi, lo smartphone con cui poi scrivere dei bei tempi andati sui social. Sign o’ the times, cantava Prince. Genio, non a caso.

Ma qual è il problema di questa visione retrograda oltre al torcicollo che necessariamente prima o poi si manifesta? Vediamo se riesco a spiegarla così: la fissazione di un passato migliore ci dà l’alibi di non governare un futuro incerto e quindi, ritornando al concetto di spirale viziosa, ci porta a vedere sempre più roseo quello stesso passato.

Passato è una parola chiave. Agognare al passato (badate bene, non rispettare il passato o imparare da esso che è opera, invece, meritoria) fa rima con restaurazione, con regresso, con inedia, con tutto ciò che è contrario all’innovazione, al progresso e al movimento. Ed è qui che, metaforicamente, in testa mi salta l’intero banco. Quando la sinistra ha smesso di essere una forza progressista?

O, se preferite, quand’è che nelle menti di sinistra ha cominciato a insinuarsi la pericolosissima e subdola domanda: ok muoversi, ma per andare dove

L’impianto ideologico della sinistra attuale viene fatto risalire, almeno a sentire i suoi detrattori più feroci, a quello socialista reale, ovvero, a quella dottrina brezneviana che ai tempi dell’URSS si contrappose a quella utopica di matrice marxista-leninista.

Il socialismo reale è un’ideologia fortemente votata al progresso, alla modernità, all’avanzamento sociale, tralasciando, colpa esiziale, quello personale.

Pur proponendo soluzioni sbagliate a premesse sacrosante (aiutare gli ultimi, garantire una vita dignitosa a tutti), soluzioni adottate attraverso metodi dittatoriali e criminali che hanno portato con sé essenzialmente solo conseguenze nefaste, nessuno può tacciare il socialismo reale di essere un’ideologia “regressista” (ok, questo termine l’ho inventato). 

Anzi, dalla corsa spaziale a quella atomica, dall’avanzamento industriale a quello geopolitico, la seconda parte del ‘900 ha visto una lotta continua per il dominio tra i due lati della Cortina di Ferro. 

Poi è caduto il Muro. “Mr. Gorbatchev, tear down this Wall!”

Poi è arrivata la globalizzazione che in Occidente non è stata governata come avrebbe dovuto, causando sacche di povertà o comunque un peggioramento delle condizioni di vita di molti. Un’occasione sprecatissima, if you ask me, un vulnus che ha minato alle fondamenta la fiducia dei popoli occidentali nell’ideale stesso di progresso portato dalle democrazie liberali occidentali e ha contribuito agli occhi a cuoricino cui assistiamo oggi verso sistemi autocrati giudicati, erroneamente, più efficaci e attenti alle esigenze dei più deboli. Balle, a parole e nei fatti: si può finire anche torturati e ammazzati se non si apprezzano quelle attenzioni. La situazione peggiora in contesti sotto-scolarizzati e funzionalmente tendenti all’analfabetismo come quello italiano.

Poi si è affermata l’era dell’informazione e dell’automazione della quale alcuni Nobel guru “de sinistra” (™️) dell’economia hanno anche dato una visione apocalittica, Rifkin su tutti con “La fine del lavoro”, 1995. Di nuovo, balle, a conti fatti. E balle pericolose, per giunta perché hanno contribuito a far fiorire quella serie di sacche di “regressismo” culturale e, di conseguenza, economico che oggi a sinistra spopolano.

Non solo in Italia, beninteso: la decrescita felice è l’infelice trovata di un economista francese; il welfare scandinavo, il migliore al mondo, mostra le prime crepe non si sa quanto strutturali o “indotte” e dove la sinistra non si è arresa all’inedia, ha dovuto snaturare se stessa, come accaduto nella Germania di Schröder e dell’accordo con la CDU che poi spianò la strada a 16 anni di cancellierato Merkel

Peccato che poi Schröder si sia svaccatamente arreso allo zar socialista sovietico che da 25 anni tiene la Russia sotto scacco. 

Guardando bene dentro allo scritto del nostro prof. Lanzieri, dietro alle ragioni che portano sconosciuti wannabe influencer da tutto il Sud Italia a sfidare chi è più forte, se il vibrione del colera o il loro sistema immunitario, si può trovare una delle possibili spiegazioni profonde della crisi della sinistra mondiale. Una crisi, ad avviso di chi vi scrive, potenzialmente letale per le sorti delle democrazie liberali occidentali.