Letto il testo del disegno di legge sulla riforma della forma di governo si possono intanto formulare alcune prime riflessioni, che indico per punti essenziali. 1) questione generale: una riforma della forma di governo non può passare per la semplice modifica delle – scarne – norme del testo costituzionale ed ancor meno pensando di inserire all’interno della disciplina della forma di governo regole generali che riguardano come venga eletto il Parlamento. I padri costituenti americani, che erano gente seria, in un testo costituzionale che ha oltre 200 anni hanno opportunamente regolato i tre poteri dello stato dedicando a ciascuno, in modo chiaro e distinto, i primi tre articoli della costituzione. Quindi: serve sempre ordine e molta chiarezza. Nel disegno di legge costituzionale Casellati si legge un riferimento al sistema elettorale delle Camere (entrambe) che garantisca il 55 percento dei seggi, con il riconoscimento di un premio nazionale. Una norma manifesto ma gravida di conseguenze; 2) innanzitutto, una riforma della forma di governo non può prescindere da una adeguata rilettura della distribuzione del potere a livello verticale, ovvero con riferimento alle attribuzioni di potere destinate alle Regioni, anche perchè la frammentazione del potere, anche a livello territoriale, costituisce uno dei pesi e contrappesi tipici del costituzionalismo. E le due cose non possono passare per canali separati ma devono esser viste assieme: i meccanismi costituzionali sono organismi che vivono nella reciproca osmosi, non pezzi che vengono assemblati (l’esempio pessimo della riforma del titolo V della Costituzione del 2000 dovrebbe costituire precedente evidente e da evitare); 3) La pretesa di voler indicare un premio elettorale del 55 percento su base nazionale è chiaramente in contrasto con lo stesso testo della costituzione che prevede che il senato della repubblica venga eletto su base regionale, quindi un premio su base nazionale non sarebbe legittimo, salvo appunto che non si metta mano anche a tale disciplina, che ovviamente è contenuta altrove; 4) andrebbe una volta per tutte chiarito che funzione si vuole attribuire al senato all’interno di un rivisitato impianto costituzionale (e.g. camera delle regioni? organo di rappresentanza del potere regionale che intervenga, nel processo legislativo, solo nelle materie in cui la potestà legislativa regionale concorre con quella nazionale, ecc.); 5) l’ipotesi di un premio di maggioranza – quale che sia, a legger la bozza di riforma – in un parlamento che a causa della demagogia imperante ha visto ridotto persino il numero dei rappresentanti eletti, aumentando di conserva il potere delle organizzazioni politiche che procurano la loro candidatura/elezione e quindi riducendo il potere degli elettori deve esser vista con cautela. Infatti, i quorum previsti – come detto: in altre parti del testo costituzionale – per le nomine di organi di garanzia, primo tra tutti la presidenza della repubblica, e a cascata la nomina di una parte dei giudici costituzionali, sarebbero immediatamente coinvolti da un simile premio di maggioranza. Una maggioranza ortopedicamente coesa, e artificialmente rafforzata dal premio Acerbo (sic!), avrebbe gioco facile nell’imprimere il medesimo colore politico alla presidenza della repubblica e, direttamente ed indirettamente, eleggere 2/3 dei membri della corte costituzionale. Si dirà: è la democrazia bellezza. No: è il “chi vince rastrella” che sarà forse democratico, ma nel senso plebiscitario e non liberale del termine. La democrazia liberale, dove l’aggettivo conta più del sostantivo, nasce proprio nel naturale scetticismo verso il potere, qualsiasi potere, tanto da volerlo frammentato e bilanciato. In simile disegno il potere viene unificato e non vi è traccia di alcun bilanciamento; 6) Avrebbe avuto senso attribuire il potere di scioglimento della camera “politica” al presidente del consiglio: il premierato inglese, che è una cosa seria, prevede tale potere, e in linea con i principi della democrazia parlamentare prevede che il singolo partito possa decidere di sostituire il premier con un altro membro del proprio partito. Vero: si tratta di un sistema politico caratterizzato da due grandi partiti ed una terza forza. Ma il rispetto dei principi di una democrazia parlamentare resta intatto. La vulgata dei governi non eletti dal popolo è roba da tronisti dei talk show: il popolo elegge i membri del parlamento e se non è contento di come si sono condotti vota un altro partito o un altro candidato, in modo laico, non identitario; 7) morale: o le riforme costituzionali sono solo un passatempo o, peggio, un diversivo, oppure vanno affrontate con serietà e con respiro ampio. Una riforma costituzionale o è sistematica oppure riesce solo a peggiorare quel che vorrebbe a parole migliorare. Che poi ci siano in parlamento le capacità per affrontare seriamente un simile impegno è altra storia: si tratta di un giudizio personale che ciascuno di noi ha maturato o può maturare per conto proprio.
@AndreaBitetto