Diciamocelo chiaramente: viviamo in un continuo stato di overdose da miracoli tecnologici. Intendiamoci, non è proprio tutta colpa nostra: se solo nel 2006 un nostro amico ci avesse detto che dall’anno successivo il telefono sarebbe stato una semplice scusa per avere un vero e proprio pc in tasca, probabilmente avremmo tutti quanti fatto un sorriso di circostanza e subito dopo chiamato la neuro per il nostro sventurato. Eppure…
Dai telefoni cellulari ETACS agli smartphone 5G (e, a breve, 6G), dalla prima pagina web creata al CERN al pervasivo ecosistema digitale che comunemente chiamiamo internet senza il quale oggi non esisterebbe l’intero mondo moderno, dai televisori in bianco e nero a tubo catodico alle meraviglie dell’8K e dei suoi miliardi di colori, dalle musicassette allo streaming (ma guai a chi mi tocca il vinile!), dalla lampadina a incandescenza ai diodi a led che emettono molta più luce consumando una frazione dell’energia elettrica, per la mia generazione è fin troppo facile dimenticare che non è così che funziona il mondo. Siamo ormai assuefatti a sognare in grande, a immaginare l’impossibile, sicuri che la tecnologia intesa come, parafrasando Derek Abell, “modo di soddisfare un bisogno”, fungerà da motore dei nostri desideri e non da ostacolo agli stessi.
Deve essere con questo spirito che il Parlamento Europeo, qualche giorno fa (ne ho parlato qui), ha preso una decisione sull’ormai famigerato stop ai veicoli ICE (Internal Combustion Engine) nel 2035.
Non torno su quanto sia fuorviante un confronto “di principio” tra elettrico e termico e sulle criticità gestionali di una decisione così repentina, piuttosto vorrei esaminare un altro aspetto, sul quale il nostro amico barricato @emiliano-morgia (seguitelo su twitter al profilo: Emiliano Morgia), già autore di altri post su questo blog, mi ha portato a ragionare:
Emiliano nel suo tweet parla di “politica industriale” ovvero, dell’insieme delle strategie e misure decise dalla classe politica (di un continente, in questo caso) a sostegno dello sviluppo industriale; decidere, in una condizione di naturale scarsità di risorse (economiche, materiali, climatiche…), significa essenzialmente una cosa: scegliere. In base al contesto legislativo e a queste scelte istituzionali, derivano poi le decisioni di ogni singola impresa che a queste esternalità deve ubbidire. Quindi, il Parlamento Europeo adottando la direttiva dello stop all’immatricolazione dei veicoli ICE, di fatto obbliga il settore automotive europeo a modificare i suoi piani per rispondere alla legislazione vigente.
E qui iniziano i dubbi di natura sia tecnologica sia economica: tecnologica perché se da un lato è indiscutibile che la formula preponderante per l’automotive nel futuro sarà quella elettrica, dall’altro, una transizione senza scossoni all’emissione 0 (quella vera) può passare anche dai famigerati motori a benzina, diesel o gas, o meglio da quegli stessi motori, ma alimentati ad altro. Economica perché in un mercato così technology intensive, un ultimatum legislativo può causare danni inenarrabili. Facciamo un passo alla volta, partiamo dalle tecnologie.
Toyota e l’idrogeno
E più specificamente dall’alternativa studiata da più tempo: l’idrogeno che ha nel colosso nipponico Toyota il suo più grande fan. Toyota è stata tra le prime case automobilistiche a introdurre nel mercato mondiale i veicoli ibridi, veicoli mossi da almeno un motore elettrico in combinata con un motore a scoppio, e anche tra le prime a credere veramente nella propulsione alimentata a idrogeno (esperimenti tedeschi risalgono agli inizi degli anni ’70, ma di pura sperimentazione si trattava, non finalizzata alla commercializzazione).
L’idrogeno può essere sfruttato in due modi per muovere un’automobile (un approfondimento, per chi volesse, qui):
- Celle a Combustibile (fuel cell)
- ICE convertito a idrogeno
Fuel Cell
Le fuel cell sono dispositivi in cui viene immesso idrogeno e che tramite processi elettrochimici sono in grado di isolare l’unico elettrone dagli atomi dell’elemento e renderlo disponibile in forma di corrente elettrica (che altro non è che un flusso “ordinato” di elettroni) sia al motore elettrico di cui deve essere dotata l’automobile per muoversi sia alla batteria di supporto che interverrà quando l’energia generata dalle celle non dovesse essere sufficiente (es. nelle fasi di forte accelerazione). Questa tecnologia è a emissioni 0 perché l’unico prodotto di scarto di un veicolo con questo schema di funzionamento è il vapore acqueo.
ICE convertito a idrogeno
L’idrogeno però può anche essere usato direttamente come combustibile all’interno di un “normale” motore che va modificato opportunamente per gestire le maggiori temperature di combustione rispetto a un normale carburante. Questa tecnologia non è a emissioni 0 né di CO2 né di altri composti inquinanti (ossidi di azoto, principalmente) dovuti alla combusitione essenzialmente degli oli lubrificanti e si porta dietro le intrinseche inefficienze di un motore a scoppio, ovvero, una gran quantità di energia dispersa sotto forma di calore. Ma, dall’altro lato, ha enormi pregi: non comporta un radicale cambiamento delle abitudini, può essere industrializzata fin da “quasi” subito, pur essendo a emissioni non nulle è estremamente più pulita rispetto ai carburanti derivati dal petrolio, a patto che il processo di produzione e trattamento dell’idrogeno per diventare combustibile sia a sua volta un processo pulito.
Condizione fondamentale quella del processo di produzione dell’idrogeno perché questo, pur essendo l’elemento più abbondante nell’universo, “da solo” in natura (almeno sul pianeta Terra) non esiste. Infatti qui è possibile trovarlo solo combinato con altri elementi sotto forma di composti chimici. Sicuramente non rari, visto che il più grande serbatoio esistente di idrogeno al mondo è l’acqua.
La produzione e stoccaggio di idrogeno “solitario” (e magari sotto forma di liquido) è un processo industriale energy intensive; ovvero per essere completato necessita di un’enorme quantità di energia immessa nel sistema: talmente grande che, fino a pochissimo tempo fa, la sua estrazione è stata a bilancio energetico negativo, ovvero la quantità potenziale di energia contenuta nell’idrogeno prodotto era minore della quantità usata per produrlo. La dico in altri termini: era un processo industriale insostenibile, da un punto di vista ingegneristico ed economico.
E anche un controsenso ambientalistico, visto che, ad oggi, la quasi totalità dell’idrogeno combustibile è estratta in processi industriali che coinvolgono i combustibili fossili. Sì, esatto, fino a pochissimo tempo fa, la sua produzione risultava in maggiori emissioni di quelle che si sarebbero risparmiate usando quell’idrogeno per muovere le automobili.
Naturalmente, l’idrogeno può essere prodotto anche usando solo fonti energetiche rinnovabili (il cosiddetto idrogeno verde), tramite processi di elettrolisi, ma la quantità di energia richiesta a fotovoltaico ed eolico per le esigenze di una mobilità green ad oggi richiede impianti talmente grandi e costosi da non risultare sostenibile. Molto probabilmente, in queste dimensioni, non lo sarà nemmeno nel 2035.
Porsche e l’e-fuel
Ferdinand Porsche è stato un genio della storia dell’auto. Suo il primo veicolo ibrido della storia. Suo il primo veicolo a quattro ruote motrici della storia. E la storia ci dice che erano lo stesso veicolo, la “Toujours Content“. Parliamo del 1900, non il secolo in genere, l’anno.
Naturalmente, la tecnologia era primitiva, oggi aborriremmo persino al sapere che le batterie che servivano i 4 motori elettrici (uno per ruota) erano al piombo, e in definitiva allora fu giudicata troppo costosa dall’azienda per cui Ferdinand lavorava.
Ci vorranno ancora 31 anni da quel prototipo prima che la Porsche sia fondata. E da allora, le auto con lo stemma della città di Stoccarda sono uno dei sogni ricorrenti di chi, come il sottoscritto, per le quattro ruote ha sempre avuto qualcosa di più di un debole.
Con un’epopea così lunga e coronata di autentici capolavori dell’ingegneria, è facile capire come alla Porsche l’idea di un mondo tutto elettrico non sia stata presa bene. D’altra parte, stare dal lato sbagliato della storia (in questo caso, continuare a comportarsi come se il cambiamento climatico non esistesse) non è mai un bene per un’azienda, prima o poi questa non decisione l’avrebbero pagata.
È così che a Stoccarda decidono di darsi da fare. L’idea di un mondo senza più 911 in giro è semplicemente troppo da sopportare. La soluzione: gli e-fuel. Dal 2020, Porsche ha investito più di 100 milioni di dollari in questa tecnologia, uno sforzo finanziario enorme, ma giustificato dalla concretezza del progetto.
L’e-fuel che sta studiando Porsche è una sorta di metanolo sintetico che consente ad un motore a scoppio tradizionale (e anche vetusto) di funzionare senza intoppi e senza alcun bisogno di essere rettificato o adeguato (a differenza del motore ICE convertito a idrogeno).
Diciamolo subito: l’e-benzina non è una tecnologia a emissioni 0 (di CO2), ma è carbon neutral, ovvero, nell’utilizzo del carburante viene immessa la stessa quantità di anidride carbonica che è stata prelevata dall’atmosfera per produrlo.
La tecnologia è talmente a buon punto che la FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) ha deciso che dal 2026 le macchine di Formula 1 correranno alimentate ad e-benzina. Dalla F1 alla strada, la storia dell’automobile ci insegna, il passo è breve.
Si tratterebbe, in questo caso, di investire ulteriormente in ricerca, test, produzione. Ma come giustificare economicamente un tale impegno se l’obiettivo è “solo” quello di salvare i pur encomiabili capolavori del primo secolo di storia dell’automobile?
E l’Italia sta a guardare
No, stavolta, pare di no. Giusto stamattina attira la mia attenzione questo tweet del nostro co-fondatore barricato @francesco (su twitter al profilo: Francesco DeBenedetti).
E così quello che già era un articolo molto più lungo di ciò che avrei voluto, diventa ancora più corposo. Mi spiace. Per voi. Io mi sto divertendo a scriverlo.
Forse non tutti sanno che… molti dei carburanti che già oggi acquistiamo al rifornitore sono “tagliati” con biocarburanti a emissioni carbon neutral. Ad esempio, il Diesel + di ENI già oggi contiene una percentuale del 15% di HVO.
Per i dettagli vi rimando all’articolo contenuto nel tweet di Francesco e a quest’altro articolo qui che personalmente ho trovato più chiaro, ma in poche parole, l’HVO (Hydrotreated Vegetable Oil) è un carburante ottenuto da oli vegetali, sia prodotti ad hoc sia di scarto.
È un carburante carbon neutral perché (con un concetto del tutto simile a quello dell’e-fuel di Porsche visto sopra) la sua combustione riemette in atmosfera solamente la CO2 che le piante avevano catturato durante il processo di fotosintesi clorofilliana al momento in cui sono state tagliate per finire nella produzione dell’olio stesso. ENI promette un “risparmio” sulle emissioni pari al 60-90% rispetto ai normali carburanti.
Un momento: possibile che queste soluzioni alternative all’elettrico puro escano così, improvvisamente? No, non è possibile e infatti ENI è dal 2014 che investe in questa tecnologia, ha riconvertito due raffinerie italiane in bioraffinerie (Venezia e Gela) per la sua produzione, siglato una serie di accordi internazionali per la fornitura delle materie prime da agricoltura non competitiva.
Ah, dimenticavo, l’HVO in purezza può essere già acquistato in alcune stazioni e probabilmente (ma controllate sul vostro libretto d’uso della macchina) se avete un diesel di recente generazione già potete rifornirvene.
Sì, ok, ma l’elettrico è un’altra cosa
Può darsi che lo sarà, in futuro, se riusciremo a venire a capo della logistica e se madama tecnologia (ancora lei) ci darà una grossa, grossissima mano. Al momento, però, non è così. E dubito che così sarà per il 2035. Vi faccio vedere un grafico tratto da questo sito e che potete provare voi stessi.
Il grafico mostra la quantità di emissioni di GHG (Greenhouse Gases), gas serra, durante l’intero ciclo di vita di un’automobile, dalla produzione alla sua dismissione e mette a confronto i seguenti tipi di veicoli immaginando una percorrenza totale di 125.000km su strade miste e utilizzo medio:
- Elettrico con batteria di 60KWh (BEV nel grafico),
- Plug-in Hybrid (PHEV nel grafico, o ibrido che si deve ricaricare alla colonnina) con batteria da 15 KWh e ricaricata ogni 2 giorni,
- Full Hybrid (HEV nel grafico, o ibrido che non si deve ricaricare alla colonnina) con una batteria da 2KWh.
Le emissioni di PHEV e HEV sono calcolate sulla base dei processi di manifattura, dei carburanti con cui viene alimentato il motore termico e (solo per le PHEV) delle emissioni susseguenti alla produzione dell’energia elettrica usata per la ricarica, mentre quelle delle BEV includono solo quest’ultime e quelle derivate dalla manifattura.
È più facile mostrarvelo:

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Solo una notazione sulla porzione azzurrina delle colonne: quella è l’anidride carbonica riciclata (ovvero, la porzione di carbon neutrality dovuta all’utilizzo dei bio ed e- carburanti). Non viene conteggiata nel computo totale delle emissioni, perché quella era anidride carbonica già esistente in atmosfera sotto altre forme e quindi non contribuisce a un peggioramento del livello di GHG.
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Fermi tutti. Stiamo dicendo che, allo stato attuale, i veicoli full-hybrid alimentati a e-fuel (4a e 5a colonna da sx) o biofuel (HVO, 6a colonna da sx) sarebbero responsabili per un livello di emissioni di GHG che va da 1/3 a metà di quelle di una macchina elettrica (1a colonna a sx) e molto meno di una PHEV alimentata con gli stessi combustibili?
Stiamo dicendo che automobili ibride alimentate con i carburanti oggi esistenti alla pompa sarebbero responsabili di un incremento del livello di emissioni del solo 25% rispetto a quello di un auto totalmente elettrica incredibilmente spacciata per un’auto a emissioni 0? Tutto questo macello per risparmiare il 25% di quelle emissioni, che sono già una frazione (ca. un terzo) del totale che la nostra società industrializzata riversa in atmosfera ogni minuto, cioè risparmiare il 7-8% delle emissioni totali?
Sì.
Laconico, lo so. Espandendo il concetto: sì, perché, ancora una volta, il COME si produce un oggetto (automobili, elettricità, carburanti…) è altrettanto, se non molto più importante del COSA si produce.
L’elettrico sarà la tecnologia di punta quando potremo finalmente contare su un ecosistema totalmente a emissioni 0 (ivi comprese quelle per la produzione delle enormi batterie che equipaggiano le auto elettriche) e che come ci mostra il grafico contano per più del 50% delle emissioni totali di GHG lungo l’intero ciclo di vita dell’automobile. Oggi, diciamocelo, l’europa ha puntato sul cavallo perdente.
Il memo che non è arrivato al Parlamento Europeo
Cari eurodeputati,
immaginate di darvi 12 anni di vantaggio sulle politiche ambientali che avete immaginato per il nostro futuro. Immaginate di sfruttare al meglio quello che avete oggi o che potete ottenere con il minimo sforzo di riconversione delle attuali catene di produzione. 12 anni, dopotutto, sono un’eternità: significa ripulire il mondo (o almeno il nostro continente) in attesa della rivoluzione dell’elettrico che, come avete capito, è tutt’altro che dietro l’angolo.
Perché è così che funziona il mondo. Non esistono i miracoli e se una nuova tecnologia ci sembra “rivoluzionaria” non è detto che dietro non si porti anni (o spesso decenni) di studi, prototipi, fallimenti, successi troppo piccoli o economicamente non sostenibili per essere commercializzati, ma che a loro volta portano a nuovi studi, nuovi prototipi, nuovi fallimenti, nuovi piccoli successi. È il delta tra questi piccoli avanzamenti e indietreggiamenti a determinare il futuro di una tecnologia, non un supposto “miracolo”.
Siamo l’unico continente ad aver preso una scelta così drastica, di fatto costringendo i nostri produttori ad abbandonare (tranne rare eccezioni) soluzioni promettenti come il full-hybrid lasciato nelle mani di giapponesi e coreani e se questo memo non vi troverà ormai sordi e ciechi nelle vostre convinzioni pseudo-ambientaliste, prendete l’unica decisione possibile: cancellate l’ultimatum del 2035, datevi l’obiettivo dell’elettrico come rivoluzione ultima, senza dare per scontata l’adozione di tecnologie oggi inesistenti, e nel frattempo cominciate a ripulire l’ambiente investendo sui carburanti alternativi, sull’ibrido alla portata di tutti, non di soli quelli che hanno finanze adeguate all’acquisto di un’auto elettrica. Dateci un’aria migliore da respirare non tra 30 anni, oggi.
In fede,
Un autista attento all’ambiente.