Si chiude oggi una campagna elettorale orribile, che porterà, comunque si concluda la tornata, ad una composizione del Parlamento che non può che destare preoccupazione in qualunque persona assennata.
Non è il caso di fare classifiche, che di campagne elettorali volgari, aggressive e irresponsabili abbiamo perso il conto, ma l’attuale colpisce per alcuni aspetti peculiari.
Domenica, infatti, gli elettori saranno chiamati a votare il Parlamento che avrà il compito di sostituire il Governo Draghi, guidato da una personalità non solo straordinariamente competente ed autorevole ma, soprattutto, capace di esporre con estrema chiarezza i problemi e le relative soluzioni e si sarebbe potuto auspicare che i partiti politici e gli elettori si ispirassero ad analoga serietà e concretezza.
Diversamente, i contendenti si sono arroccati sui temi a loro familiari tesi a solleticare gli istinti più che la ragione e gli elettori hanno seguito una logica che non può nemmeno più dirsi ideologica o di bandiera, come per le famiglie politiche della prima repubblica, ma di mera emotività, sobillata da una campagna elettorale costruita sugli aumenti di spesa pubblica, della cui sostenibilità nessuno si preoccupa, e sullo stimolo di egoismi, pregiudizi e paure, senza che vengano offerti né speranza né soluzione.
Al centro della competizione la cronaca del caro bollette, problema cui i partiti, anziché proporre una strategia di lungo termine, hanno opposto in vario modo l’impunità dalla congiuntura economica internazionale, attraverso irresponsabili soluzioni tampone.
Prima dell’esito elettorale definitivo, tuttavia, possiamo già trarre alcune conclusioni.
Dopo i fasti elettorali del recente passato, la Lega subirà un drastico ridimensionamento se non un tracollo; la rivoluzione di Salvini, che ha trasformato il partito secessionista, rivoluzionario, dai tratti libertari ed antifascisti, per quanto apertamente razzista di Bossi, in un movimento sovranista e dai contorni fortemente reazionari ha funzionato per un po’ ma, come era prevedibile, alla fine l’elettorato si è spostato dalla copia all’originale.
E così, è quasi certo che trionferà l’estrema destra della Meloni, almeno nelle percentuali di lista, che non vuol dire necessariamente che la coalizione avrà i seggi necessari per governare.
È del tutto palese che non si può più parlare di centro destra, vista la quasi irrilevanza di Berlusconi e lo scivolamento della stessa Forza Italia verso posizioni estreme che la allontanano dagli altri partiti conservatori europei, che a quelli liberali non si era mai avvicinata.
Trovo abbastanza oziosa la discussione se Fratelli d’Italia sia fascista o meno. È evidente che il Fascismo è stato un fenomeno storico, caratterizzato dal totalitarismo (fu proprio il Fascismo a coniare il termine) oggi irripetibile e inattuabile se non nei superstiti regimi comunisti cinese e nord coreano. Ma è innegabile che Fratelli d’Italia è l’erede del Movimento Sociale di Almirante, partito dichiaratamente neofascista, e che i temi cari ai meloniani siano quelli reazionari dell’intolleranza verso ogni forma di integrazione di stranieri e minoranze, di fastidio verso i diritti civili, del nazionalismo sciovinista, tutti aspetti che possono agilmente essere compresi nell’accezione che il termine fascismo è venuto ad assumere con gli anni.
Tuttavia, e proprio per la diluizione del significato preciso della parola, il termine fascismo è stato talmente logorato dall’uso che ne ha fatto la sinistra italiana, che lo ha indirizzato al “liberale” Berlusconi, all’eterodosso Renzi, al socialista Craxi e, persino, al radicale di sinistra Pannella, che ha perso ormai tutta la sua forza evocativa e non può essere validamente opposto, agli occhi dell’opinione pubblica, alla montante marea nera.
Il governo di destra sarà pericoloso per la tenuta democratica dell’Italia? Non credo, non in tempi brevi, comunque, perché le istituzioni sono forti e i corpi intermedi relativamente indipendenti. Ciò che temo, invece, è un rapido logoramento dell’agibilità dei diritti civili, a causa di piccoli e poco vistosi interventi ed uno sdoganamento di comportamenti intolleranti, che gli stessi militanti di destra un tempo avrebbero avuto pudore ad esibire in pubblico.
Ciò che, però, trovo più grave è che gli elettori non diano alcun peso all’assoluta mancanza di una visione del futuro del Paese da parte di Fratelli d’Italia, incapaci di elaborare una prospettiva, di interpretare il multilateralismo e l’evoluzione storica, economica e demografica dell’Italia e del mondo.
Sognano e propongono un’isola, quando l’Italia è un crocevia.
Anche il Movimento Cinque Stelle avrà un notevole, forse notevolissimo, successo, difficilmente prevedibile all’inizio della campagna elettorale.
Conte si è ormai impadronito del partito, facendo fuori oppositori e persino supporter, con la complicità interessata del fondatore; poi, da imbonitore professionista, L’Avvocato del Popolo è stato capace di far dimenticare di essere stato quattro anni e sei mesi al governo con due maggioranze di segno opposto, e di essere stato defenestrato a causa dall’incapacità di formulare un piano di gestione del PNRR che la Commissione europea fosse anche solo in grado di valutare.
Ha condotto una campagna elettorale quasi interamente al sud e costruita su bonus e regalie, spazzando via Arcuri e i banchi a rotelle, i servizi segreti russi a spasso per l’Italia, le dirette Facebook e i teatrali ritardi, il curriculum taroccato, il regime di terrore adottato per combattere la pandemia. Tutto cancellato sull’altare del reddito di cittadinanza e della ristrutturazione di casa a spese della fiscalità generale.
Sul PD c’è poco da dire, incapace, ancora una volta, di andare oltre l’inseguimento di un’agenda dettata da altri, ha impostato una campagna elettorale basata sul fatto di essere meno peggio degli avversari, con la speranza, forse, chissà, che il voto al Movimento Cinque Stelle sottragga alla destra i seggi necessari per governare e tornare così ad essere il perdente di successo delle ultime legislature.
Resta il Terzo Polo, per ora in miracoloso equilibrio tra due personalità distruttive come Calenda e Renzi. L’asticella è il 10%, soglia psicologica per auto definirsi un grande partito e sottrarsi all’irrilevanza, superiore a quell’8% raggiunto da Scelta Civica che pescava nello stesso elettorato e, grossomodo, corrispondente a quell’area laica che nella prima repubblica raccoglieva liberali, radicali e repubblicani. Poi resterebbe solo da capire che fine ha fatto il residuo 14% di socialisti.
Nonostante Calenda abbia fatto di tutto per convincere gli elettori naturali del Terzo Polo a restarsene a casa, tuttavia c’è da sperare in una positiva affermazione del duo Azione Italia Viva per consegnare alla politica e agli elettori un’alternativa che somigli il più possibile ad un partito di sinistra liberale moderno, non populista, capace di offrire soluzioni concrete a problemi reali.
In conclusione, queste elezioni ci consegneranno, alternativamente, un governo di estrema destra, come non ne conosce alcuna democrazia europea se non quelle giovani ed immature di Polonia ed Ungheria, oppure un remake della coalizione giallo rossa, con la presenza determinante di un partito come il Movimento Cinque Stelle, che solo un’interpretazione ancorata a logiche politiche semplicistiche e forzate, sicuramente anacronistiche, può definire di sinistra.
In ogni caso, più della metà degli italiani voterà partiti populisti, reazionari e vagamente illiberali, ivi compreso il Movimento Cinque Stelle.
Sullo sfondo dei partiti candidati alla vittoria ed al governo, chi più chi meno, l’ambigua solidarietà all’Ucraina invasa dai Russi, le pericolose ingerenze di Putin sui politici e i media del nostro paese, l’incerta collocazione dell’Italia nell’Alleanza Atlantica e le smanie contro le sanzioni ai danni dell’aggressore neo zarista.
Fuori dall’agenda politica restano, invece, la scuola, la giustizia e l’ordinamento carcerario, le infrastrutture e lo sviluppo, il calo demografico e l’immigrazione legale, le droghe e la criminalità organizzata, la sburocratizzazione, la spending review, le riforme istituzionali.
Questo giro, dunque, lo saltiamo e per il futuro dell’Italia aspettiamo fiduciosi il prossimo.
Francesco De Benedetti