“If your theory is found to be against the Second Law of Thermodynamics, I can give you no hope; there is nothing for it but to collapse in deepest humiliation.”
Sir Arthur Eddington
In Italia, dopotutto, abbiamo una risorsa che può essere riciclata senza sforzo e virtualmente all’infinito: è la sabbia mobile del pensiero desiderante, o wishful thinking.
Pochi argomenti ne danno dimostrazione, meglio della (ennesima) bagarre sul tema rifiuti alla quale abbiamo assistito negli scorsi giorni. La trama è talmente prevedibile che sembra uscita da una serie trash come Occhi del cuore in Boris: “il peggior conservatorismo che, però, si tinge di colore”, come spiegava uno sceneggiatore al regista René Ferretti. Il neosindaco Gualtieri annuncia di voler realizzare un termovalorizzatore a Roma: una città da anni in costante emergenza e che produce ogni anno ben 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani.
Stacco.
Il Movimento 5 Stelle insorge contro tale “scempio”, con l’assessore alla transizione ecologica della Regione Lazio Daniela Lombardi che minaccia a priori di “non autorizzare” l’impianto. Non solo: il Movimento decide anche di non votare il DL Aiuti (che pure stanzia 14 miliardi contro il caro bollette). Il motivo? La presenza, nel testo del decreto, anche di norme che affidano poteri speciali al commissario per il Giubileo a Roma: tra questi, ci sarebbe anche la possibilità di realizzare il termovalorizzatore annunciato da Gualtieri.
In un capovolgimento della realtà, spiegabile solo con l’effetto Dunning-Kruger, Giuseppe Conte pubblica un video grottesco nel quale accusa chi vorrebbe fare qualcosa di pratico per risolvere il problema rifiuti a Roma di essere vittima della sindrome NIMBY (“Not in my back yard”). La stessa sindrome che, negli anni, è stata la bandiera orgogliosamente e sistematicamente piantata dal suo partito sulla vertiginosa cima di Mount Stupid.
Insomma: la (solita) locura.
Di fronte a un approccio tanto ideologico, contro il quale nulla sembra potere il principio di realtà, vorrei per una volta mettere da parte gli aspetti tecnici. Questi, infatti, sono già stati sviscerati da altri meglio di quanto potrei fare io qui: su tutti, mi limito a citare due articoli scritti da Costantino De Blasi, qui e qui.
Mi preme piuttosto parlare del terreno nel quale questo modo di ragionare affonda le radici, dell’humus dal quale trae nutrimento. Se tale suolo culturale ha un odore, le querelle come questa somigliano alle piogge: nel senso che fanno sì che esso si sprigioni più forte.
Ecco qui, a mio avviso, il nocciolo duro: un desiderio incoercibile (quasi infantile?) di circolarità.
L’idea è che, in linea di principio, qualsiasi materiale debba poter essere riciclato all’infinito. La Natura ce lo deve, quasi come se la perfetta circolarità fosse un diritto garantito da una Costituzione. La domanda “perché?”, ripetuta quasi ossessivamente, manifesta proprio questa sorta di rabbia/incredulità: ma come diamine potrebbe essere altrimenti? Viviamo o no in un universo civile e ammodo?
Eppure funziona proprio così.
Se la Natura avesse una Costituzione, infatti, tra i primi 12 articoli ci sarebbe sicuramente il Secondo Principio della Termodinamica. Questo dimostra come il tempo non sia affatto circolare, anzi: esiste una freccia, ossia una direzione privilegiata del tempo, seguita dai fenomeni che accadono intorno a noi.
Supponiamo, per esempio, di esserci svegliati (dal sonno metaforico del populismo) e di esserci preparati una bella tazza di caffè. Incauti, appoggiamo troppo presto le labbra alla tazza e… ahia! Ci accorgiamo del fatto che il caffè dentro è ancora bollente. Che facciamo? Semplice: aspettiamo. Infatti, poiché il calore fluisce spontaneamente solo da un corpo più caldo a uno più freddo, è solo questione di attendere un minuto o due, prima che il caffè sia bevibile.
Il contrario non accade. A meno che, naturalmente, non si spenda lavoro: che è il modo in cui funziona un frigorifero, per capirci. A nessuno di noi, infatti, è mai capitato di fare raffreddare una tazza di caffé fumante (magari per rispondere a una call urgente) e di vederla poi riscaldarsi nuovamente da sola. Beninteso: questo processo non è vietato, in astratto, dalla legge di conservazione dell’energia o dal Primo Principio della Termodinamica. In effetti l’aria che circonda la tazza ha una sua energia interna, e la conservazione di questa non esclude che una parte possa essere convogliata nuovamente nel caffè.
Il Secondo Principio, però, rompe le uova nel paniere e lo fa peraltro in modo controintuitivo. Infatti la dinamica delle collisioni tra i costituenti microscopici del nostro sistema – cioè gli atomi e le molecole nell’aria, nella tazzina e nel caffè – è reversibile, quindi simmetrica rispetto a un’inversione della direzione in cui scorre il tempo (paradosso di Loschmidt). L’irreversibilità è una caratteristica “emergente” al livello del sistema complessivo, per ragioni probabilistiche: ci sono, infatti, dei macrostati che corrispondono a un numero maggiore di microstati e che perciò risultano più probabili. Come ebbe a spiegare Ludwig Boltzmann proprio a Loschmidt:
“[…] ogni distribuzione disuniforme di stati, per quanto improbabile, non è assolutamente impossibile. Il numero di stati che portano a distribuzioni uniformi dopo un certo tempo t è molto più grande di quello degli stati che portano a distribuzioni disuniformi.”
Più in generale: l’uso di risorse naturali, energia in primis ma lo stesso vale per i materiali, non può essere sempre e comunque perfettamente circolare. Esiste una quota parte di “spreco” o di “sfrido” (ovvero di irreversibilità) che non si può evitare, in quanto è connaturata alle trasformazioni che avvengono.
Trasformazioni che sono soggette a vincoli, o constraints. Se è possibile riciclare un certo materiale, qual è il dispendio energetico? Lo si può fare sempre, all’infinito? Oppure, presto o tardi, ci si scontra con dei limiti? Giusto per fare un esempio: le tecniche impiegate nel riciclo della plastica tendono a degradare la qualità del materiale, nel senso che non producono un polimero puro. Il risultato è un mix di polimeri con caratteristiche inferiori a quelle della plastica vergine. Per questo motivo, non tutta la plastica che viene raccolta tramite la differenziata viene riciclata: in media solo il 30% segue questo destino, mentre il 40% finisce in impianti di termovalorizzazione e la rimanente parte (100 – 40 – 30 = 30%) in discarica.
Questo vuol dire che il riciclo è utilissimo ma, come tutto, ha dei limiti. Quando si parla di temi come i rifiuti o l’energia, è proprio vero che il meglio – da verificare, poi, se traguardabile o meno – è nemico del bene. Non c’è una pallottola d’argento in grado, da sola, di essere risolutiva, bensì un mix di strategie da adoperare insieme: come la riduzione, il riutilizzo e il recupero (termovalorizzazione, appunto).
Per Roma e, in generale, per il nostro Paese, occorre fare ogni sforzo affinché il dibattito su questi temi si tiri fuori dalle sabbie mobili del wishful thinking. Come ebbe a dire Richard Feynman: per una tecnologia che abbia successo, la realtà deve avere la precedenza sulle pubbliche relazioni, perché la Natura non può essere imbrogliata.
Avere la forza (psicologica e cognitiva) di prendere atto di come stanno le cose intorno a noi è il primo passo verso scelte politiche e tecniche meno “smarmellate”.