L’esodo degli ingriani, un caso dimenticato di vittime dell’etnotribalismo russo

Aino nacque il 3 luglio 1940 a Vekkilä, un villaggio dell’Ingria a soli 30 chilometri a sud da San Pietroburgo; era una bella bimbetta bionda di poco più di tre anni quando fu costretta dalla follia degli uomini a imbarcarsi con i suoi genitori dal porto estone di Paldiski, abbandonando per sempre la sua casa e la sua terra. La sua colpa fu ereditaria, la stessa colpa che ebbero i suoi genitori Jaakko e Helena: l’appartenenza all’etnia finlandese, etnia che viveva pacificamente in quella regione oramai da tre secoli.

Aino a Vekkilä 16 settembre 1943

 Anio fu tra i pochi fortunati a salvarsi.  

L’Ingria è una regione che si affaccia nell’area più interna del golfo di Finlandia e forma con il Lago Lagoda uno stretto istmo che collega la fennoscandia al “continente” date queste caratteristiche ha un’importanza strategica indiscutibile, specialmente per la Russia.,

Nel 1617, con la pace di Stolbovo, l’Ingria venne ceduta dalla Russia alla corona svedese che subito iniziò la colonizzazione della regione, all’epoca scarsamente abitata, incoraggiando il trasferimento di popolazioni di lingua finlandese dalla vicina Carelia. Queste popolazioni crebbero e si moltiplicarono tanto che che già sul finire del secolo raggiunsero il 72% dei residenti.

Ingria

L’impero russo però bramava sopra ogni cosa un accesso sul Mar Baltico tanto che, nel 1700, nuovamente mosse guerra alla Svezia e dopo 21 anni combattimenti riuscì ad ottenere da quest’ultima la cessione dell’Estonia e dell’Ingria.

Diventare sudditi dello Zar e l’immigrazione della popolazione russofona, dovuto alla fondazione di San Pietroburgo, non comportarono particolari cambiamenti per gli ingriani di lingua finlandese, entrambi i gruppi beneficiarono di un costante accrescimento demografico, segno indubbio di benessere relativo e alte aspettative; la vita degli antenati di Aino proseguì tranquillamente per quasi due secoli conservando la propria lingua, la propria religione e la propria identità culturale.

I problemi dei finno-ingriani iniziarono nella seconda decade del 1900 ed ebbero come causa una concatenazione di eventi: la guerra civile in Russia consentì nel 1917 la dichiarazione di indipendenza del Granducato di Finlandia, l’indipendenza venne riconosciuta limitatamente ai confini dell’ex Granducato e ciò comportò l’esclusione della Carelia e dell’Ingria entrambe regioni abitate da finlandesi. Quest’ultima, ispirata dai recenti eventi, vide la nascita di un movimento indipendentista che, seppur sostenuto da Estonia e Finlandia, ebbe vita brevissima, venendo rapidamente spazzato via dall’Armata Rossa guidata per l’occasione da Trotsky. Nei successivi colloqui di pace del 1920 tra Finlandia e Russia quest’ultima acconsentì di concedere alla popolazione insorta gli stessi benefici spettanti alle nazionalità minoritarie ciò comportava oltre al bilinguismo il diritto di organizzare la propria amministrazione, la propria struttura scolastica.

La situazione rimase stabile fino alla introduzione dei piani quinquennali del 1928, che scardinò totalmente l’economia rurale degli ingriani; nel corso di brevi anni la collettivizzazione venne accompagnata dalla chiusura di biblioteche, giornali e associazioni culturali di lingua finlandese, dall’introduzione dell’obbligo del Russo nelle scuole spingendosi fino vere e proprie deportazioni verso remote regioni dell’Asia, per alcuni fortunati verso la Carelia.

si stava con ogni evidenza russificando l’Ingria. L’attività di distruzione della comunità proseguì anche dopo la guerra colpendo molti ingriani che, dopo aver trovato scampo in paesi vicini, furono indotti al rientro dai governi sovietici per poi trovarsi dispersi per la Russia asiatica. Il fatto che anche altre minoranze subirono la medesima sorte degli ingriani rafforza il sospetto che i russi ambissero conseguire una sostanziale omogeneità etno-culturale.

Prima delle persecuzioni i Finno-ingrani erano circa 160.000, con l’ultimo censimento -risalente al 1990- solo 19.000 si sono definiti di origine finlandese e tra questi solamente 5000 hanno dichiarato di essere madrelingua, l’omogeneità etnica tra migrazioni forzate, deportazioni e annichilimento culturale, è raggiunta.

Il sospetto della vocazione etno-centrica delle élite russe è ben sostenuto dalle riflessioni di Grossman risalenti al 1960: “Lo Stato Sovietico incluse la rinascita del sentimento nazionale fra gli obiettivi fissati per il dopoguerra: l’idea della sovranità nazionale andava riconquistata onde affermare l’identità russo-sovietica in ogni possibile ambito”.

E’ triste considerare che questa vocazione lungi dal venir seppellita dal passare delle decadi è tuttora ben presente: nel 2020 Putin ha introdotto un emendamento all’art. 68 della costituzione con il quale si stabilisce che la lingua russa è la lingua dell’etnia formante lo Stato, un concetto pericolosamente vicino al Blut und Boden. E dal Blut un Boden e il Lebensraum il passo è drammaticamente breve.

Pur nella tragedia Aino è stata fortunata, i suoi genitori furono tra le poche migliaia che preferirono trovare scampo all’estero e non ascoltare le sirene che li avrebbero nella migliore delle ipotesi dispersi per remote regioni riuscendo a preservare la memoria di eventi che per quasi ottant’anni sono stati oggetto di una rimozione storiografica causata probabilmente dalla così detta “finlandizzazione” ovvero la triste necessità di non irritare un vicino aggressivo con velleità imperiali. Non è un caso infatti che i primi studi sul dramma ingriano iniziano solo tre anni or sono

Un termine “finlandizzazione” che è tristemente tornato alla ribalta proprio in questi giorni con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, rinverdito da alcuni commentatori che lo propongono come soluzione per placare la Russia. Ebbene costoro oltre a riversare una eccessiva dose di affidamento sul comportamento futuro della Russia, trascurano un paio di aspetti per nulla marginali: a monte della finlandizzazione c’è sempre una tragedia umana dalle proporzioni inimmaginabili, conflitti con conseguenti occupazioni territoriale che provocano l’esodo di centinaia di migliaia di esseri umani (quando non di milioni) che perdono letteralmente tutto; il secondo aspetto consiste nel trascurare la difficilissima condizione di Stato finlandizzato, costretto a vivere sotto una perenne spada di Damocle nel timore di irritare il vicino che ha dato ampia prova di avere una natura etnotribale accompagnata dalla propensione a usare ogni mezzo finanche la violenza per raggiungere i suoi obiettivi. Questi commentatori sono un ottimo esempio del fatto che l’unica lezione che traiamo dalla storia è quella che non impariamo nulla dalle sue lezioni.