I sogni di ieri, le tecnologie di domani

Mi è capitato sotto mano quest’ottimo Twitter thread nel quale l’autore (HT @MarcoLoganNYC) affronta un tema molto importante: chi o cosa decide se, e a quale velocità, una tecnologia viene sviluppata?

First things first. Il pace di sviluppo di una tecnologia è innanzitutto dato dall’intrinseca complessità dello sviluppo della stessa. Potrà sembrarvi una tautologia, ma se leggete il thread capirete perché non lo è. Spoiler Alert: un approccio fideistico all’evoluzione tecnologica non può che venire disatteso dalla dura realtà. O, tradotto, i sogni di ieri non è detto che diventino le tecnologie di domani.

Nel suo thread, Marco elenca una serie di tecnologie che dai tempi di Jules Verne vengono considerate sempre futuristiche, ma sempre imminenti: le macchine volanti, i supercomputer quantistici, le intelligenze artificiali, le colonie su Marte, ma l’elenco è ancora lungo…

La letteratura di Verne, e di tutti gli autori di fantascienza che verranno dopo di lui, non è l’unica arte ad aver dipinto i sogni di milioni di bambini, ragazzi e adulti con mondi e oggetti di volta in volta sempre più incredibili che sarebbero arrivati… domani. Pensiamo al cinema e alle “delusioni” che ci ha dato.

2001 Odissea nello Spazio, ad esempio, è del 1968 e ambientato appunto nel 2001, ma di HAL 9000 ventuno anni dopo ancora non se ne vede traccia. Ok, obietterete, con i vari Alexa, Google Assistant, Siri, Cortana e gli altri ci siamo avvicinati, pure parecchio, ma, diciamocelo francamente, per arrivare al “Dave, ma sognerò?” abbiamo ancora tanta strada da percorrere.

Ancora, Blade Runner è del 1982 ed è ambientato nel 2019. Sarà sfuggito a me, ma macchine volanti e androidi umanoidi io in giro non ne vedo ancora. E che dire del sequel di Ritorno Al Futuro ambientato nel 2015? A me pare che siamo ancora qui ad allacciarci le sneakers. Sfigati!

Insomma, una sequela di marchiani errori. Ma sono errori dovuti a quello che nel thread di Marco è chiamato approccio fideistico? O c’è dell’altro?

Un fattore di almeno eguale importanza rispetto all’intrinseca complessità di sviluppo è dato da quella che chiameremo genericamente l’applicabilità di una soluzione. Non a caso, Derek Abell nel suo celeberrimo Business Model affianca la tecnologia (parola alla quale dà la valenza più generale di “modalità di risoluzione di un problema” e non di oggetto materiale più o meno tecnologico), ai clienti e ai bisogni di questi (i problemi da risolvere, appunto).

C’è almeno un esempio che in parte contraddice quel lungo elenco: il mondo delle Telecomunicazioni. Era il 1967, il 30 Giugno, quando su un giornale italiano (se qualcuno sa di che giornale si tratti, me lo può segnalare?) si fantasticava di apparecchi telefonici da tenere in tasca “per comunicare con chi vorremo”.

Per contestualizzare: nel 1967 ragionare di telefoni portatili e per giunta wireless era un po’ come immaginare delle macchine volanti o delle colonie su Marte, una tecnologia incredibile nel vero senso della parola, anche senza doversi spingere a pensare che quella del telefono sarebbe diventata una tra le migliaia di applicazioni di uno qualsiasi degli smartphone che ci portiamo in tasca.

Quindi, possiamo dire a ragione che in questo caso la realtà ha superato la fantasia. Sempre nel mondo delle TLC possiamo citare internet, la rete senza la quale oggi, semplicemente, la civiltà umana come la conosciamo non esisterebbe. Pensateci.

Chiedersi perché le TLC sì e le macchine volanti no sarebbe legittimo: gli smartphone, la rete internet e tutto il contorno tecnologico (i vari app store, cloud,…), che ha reso possibile quella che quelli bravi(TM) chiamano la naturale User Experience alla quale siamo abituati, nascono per rispondere a bisogni di primaria importanza: la socialità, l’efficienza nella comunicazione interpersonale, la comodità dell’(almost)everything remote.

Che forza ha invece il bisogno di andare al lavoro volando?
Ecco, se a qualche lettore, a questo punto, viene in mente Mr. Maslow e la sua scala di bisogni ci ha visto giusto. In definitiva, all’approccio fideistico all’evoluzione tecnologica va affiancata la “dittatura del bisogno”.

Non esiste tecnologia che non sia in risposta a un problema cogente da risolvere. In un contesto di sempre maggiore scarsità delle risorse poi, (#mancalaroba, ma #mancanoancheisoldi), non esiste tecnologia il cui problema correlato non abbia anche una (vasta, vastissima) platea che aspetti di vederlo superato.