Fu Filippo a raccontare che Martino l’agostiniano, l’amico e sodale di sempre, le avesse affisse quel 31 ottobre 1517 proprio sulla porta della Chiesa le sue 95 tesi, ma a Wittemberg nessuno confermò. Martino non ne parlò mai. Di sicuro le spedì al Principe Alberto di Magonza, principe degli Hohenzollern, l’accumulatore di cariche, l’amico dei domenicani che per conto del Papa stavano ritirando denaro per le indulgenze. La pratica della vendita delle indulgenze esisteva in realtà da secoli. Erano un condono (indulto) delle pene che il credente avrebbe dovuto scontare nel Purgatorio. Ma questa volta si stava esagerando Del resto furono i Fugger, i ricchissimi banchieri di Augusta, che fin dall’inizio del 1500 possedevano un potere economico e politico senza eguali, ad aver sborsato a Leone X quasi 50.000 ducati d’oro (una decina di milioni di euro attualizzati) per convincerlo a concedere ad Alberto di divenire vescovo di Magonza e di cumulare la carica con quella di vescovo di Magdeburgo, mentre suo fratello era già amministratore del vescovato di Halberstadt, in Sassonia.
In pratica tre potenti principati in mano ai principi Hohenzollern. I Fugger avevano già chiaro, però, come recuperare con gli interessi i ducati versati a Roma per Alberto. Trafficare in indulgenze. Fu ad Alberto, infatti, che i Fugger riuscirono a far dare il monopolio di gestire in esclusiva per otto anni una campagna di vendita di indulgenze che si estendeva a quasi metà di tutti i territori dell’impero. Così avrebbe restituito il finanziamento ai Fugger. Una colossale opera di riscossione. Le altre indulgenze già in atto in quel momento per conto di altri gestori dovevano cessare subito. Ora c’era il Gestore Unico. E tutto ciò era stato possibile promettendo ulteriore denaro a Leone X, che si sarebbe tenuto, oltre i 50000 ducati, ben la metà delle entrate dalle indulgenze. Che si finanziasse pure la Cattedrale di San Pietro cui teneva tanto. Infatti, negli atti del Vaticano la campagna fu chiamata “Indulgenza di giubileo per finanziare la costruzione della chiesa di San Pietro a Roma” e parte di quanto venne ricavato fu destinata alla Basilica. Ma il resto, pagati intermediari, ecc., doveva rientrare nelle mani dei Fugger. La più grande campagna di sempre per il pagamento delle indulgenze era stata così avviata in Germania. Martino Lutero scrisse le sue celeberrime 95 tesi contro il traffico delle indulgenze. La 36: Qualsiasi cristiano veramente pentito ottiene la remissione plenaria della pena e della colpa che gli è dovuta anche senza lettere di indulgenza. In realtà ne parlava già da tempo coi fedeli, ne parlava con i suoi studenti all’Università. Era un oratore straordinario, come a più riprese testimonia Filippo Melantone. Con le 95 tesi di quel 31 ottobre 1517 si suole convenzionalmente far partire la Riforma. Martino trova appoggio, per sua fortuna, nel Principe Federico, Grande Elettore di Sassonia e nel confinante duca Giorgio il Barbuto di Sassonia. L’appoggio di Federico non nasceva solo per credo riformato, ma in quanto lui stesso aveva in corso una vendita di indulgenze che l’emissario domenicano del Principe Alberto, cui fu vietato l’ingresso nel principato, avrebbe fatto finire. Insomma, Martin Lutero cambiò il corso della Chiesa e quindi della Storia. Trovò un accordo con parte dei principi tedeschi e non aveva mai avuto alcuna intenzione di sovvertire l’ordine, di fare una vera rivoluzione. Quella la tentarono gli Anabattisti, la corrente protestante nata a Zurigo, che giudicavano Lutero troppo asservito ai principi (Anabattisti contro i quali l’agostiniano fece un editto terribile nel quale esortava a massacrali).
Thomas Müntzer, Monetina, il Coniatore, il puro, catturato, torturato e ucciso, definito da Martin Lutero pochi giorni prima della sua esecuzione, scellerato, sanguinario e bugiardo. Parlerò un’altra volta del Coniatore. Lo merita. Insomma, la storia si ripete. Riformisti contro rivoluzionari, pronti a prendere la staffetta della maggior purezza di fede, di ideologia, di credo. Questo era, per pochi apici, la storia del traffico delle indulgenze e della sua coda velenosa. Una storia emblematica, dove Fede, interessi economici, politica si mescolano fino a diventare poco distinguibili. Il traffico delle influenze illecite è ben altra cosa, molto più moderna, contemporanea anzi. Lo troviamo descritto in una sola norma, l’art. 346 bis del cp. E’ stata contestata, ad es., nel processo relativo a Roma Capitale e recentemente se ne è parlato per un’indagine a carico di Beppe Grillo e dell’armatore Onorato, proprietario del gruppo Moby.
E’ norma di recente conio che entra in vigore nel 2012 e che viene poi modificata leggermente nel 2019. Non entrerò nelle tecnicalità penalistiche. Non è una corruzione. Non è un millantato credito. La norma, alquanto complessa nella sua formulazione, punisce le condotte di intermediazione di soggetti che hanno rapporti, relazioni, con pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio (ad esempio ministri, sindaci) che sfruttando tali relazioni esistenti indebitamente si fanno dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio (traffico di influenze a pagamento) ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio (traffico di influenze gratuito). In estrema sintesi, nella sua versione più semplice, un privato paga o promette di pagare un altro privato ben introdotto presso un determinato pubblico rappresentante, perché attraverso tali buone relazioni possa ottenere dal pubblico ufficiale un favore costituente un reato: una omissione di atto d’ufficio o un atto contrario ai doveri dell’ufficio. Meglio in poche righe non saprei come altro descriverlo. Viene insomma punita una condotta che precede, anticipa una possibile corruzione. Già l’accettazione della promessa da parte dell’intermediario è reato. Si tratta di un reato a c.d. consumazione anticipata. Il livello di allarme che destano tali condotte ed il ruolo ambiguo di alcuni intermediari hanno portato a questa formulazione. La norma è destinata a disciplinare (punendo determinati comportamenti) la stessa attività di lobbying, tipica dei paesi anglosassoni. Di per sè tale attività può essere invero molto utile e virtuosa. Gli interessi dei privati possono, infatti, spesso coincidere con quelli pubblici. Ad es., si pensi alla necessità di normative destinate a disciplinare settori dell’impresa ad alto tasso tecnologico, con peculiarità non facilmente afferrabili che solo grazie all’attività di lobbying, attraverso intermediari qualificati, potrebbero trovare la formulazione migliore nell’interesse delle imprese e dei cittadini. Non esistono molti altri strumenti che consentano un dialogo diretto tra privati e pubblico, attraverso, ancora, la proposta di tutelare interessi diffusi e che possano interessare la collettività. Come spesso accade, però, questo delicato e come detto potenzialmente virtuoso aspetto dei rapporti tra privato e pubblico prevede reati, ma non prevede un’adeguata regolamentazione. In Italia l’attività dei cd lobbisti non è ufficialmente riconosciuta, non è disciplinata in alcun modo. Manca un intervento normativo a mio parere ormai indefettibile. Certo, il caso astrattamente riferibile al padre dei 5S, per qual poco che le notizie di stampa riportano, sembrerebbe poter essere caratterizzato dalle tipiche luci ed ombre che possono caratterizzare questi ambiti. Poco o punto ci interessa come verrà qualificata la condotta dei protagonisti della vicenda. Sono comunque presunti innocenti (lo sono anche i colpevolisti ontologici) e deciderà la magistratura. Il traffico di indulgenze consentiva di fare mercimonio delle pene per i peccati commessi pagando una congrua prebenda. Indignò Martin Lutero e portò alla Riforma protestante. Il traffico di influenze illecite punisce il mercimonio che l’intermediario fa delle sue relazioni con la pubblica funzione. Punisce un rapporto a due illecito che vorrebbe, in definitiva, diventare un triangolo. Ma qui anche il legislatore ammonisce: il triangolo no! Le analogie? Anche il traffico di indulgenze mira alla forma a tre lati. Il peccatore paga l’intermediario perché interceda presso Dio. Ecco, le analogie sono geometriche, direi. Se per caso, ma non voglio crederci, la vicenda oggi agli onori delle cronache dovesse portare alla condanna, avremmo, metaforicamente, un anabattista punito per i peccati contro i quali predicava.
Stefano Putinati