Un anno di Covid-19: retrospettiva
Il primo dicembre 2019, nella città cinese di Wuhan, un uomo mostrava i sintomi di una polmonite anomala, certificato il 24 gennaio seguente: è stato l’inizio della pandemia
Ecco le nostra storie
Quest’anno di pandemia ci ha insegnato l’importanza dello Stato di diritto, perché l’emergenza
sanitaria non può travolgere i principi fondamentali dell’ordinamento.
Qualcuno ha meglio compreso la rilevanza di libertà e diritti garantiti costituzionalmente, in
precedenza forse dati per scontati: circolazione, istruzione, culto, riunione, iniziativa economica e
molto altro, sono stati sacrificati a causa dello tsunami sanitario che ha travolto il Paese. Qualcun
altro, invece, nel corso di quest’anno, ha forse reputato che lo Stato di diritto fosse solo un inutile
impiccio e che durante un’emergenza sanitaria dovesse valere tutto. Ma anche in pandemia ogni
restrizione non può eccessivamente e ingiustificatamente comprimere la sfera di libertà dei singoli:
dev’essere proporzionata al rischio che si corre, dimostrato con dati trasparenti.
Il diritto alla salute non è “tiranno” rispetto agli altri. «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla
Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare
uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri», afferma la Corte Costituzionale (sent.
85/2013). E il principio di precauzione non ha un’estensione illimitata, ma va contemperato con
quelli di proporzionalità e adeguatezza: nessun provvedimento deve eccedere quanto è opportuno e
necessario.
Insomma, l’emergenza sanitaria non può diventare emergenza del diritto. Ci sono momenti nei quali
bisogna accettare regole che limitano la libertà, tuttavia senza mai dimenticare che il modello
democratico è la forza del Paese. E questo modello deve improntare ogni scelta, nonostante la
tentazione di scavalcarlo, e con esso i paletti che lo garantiscono. Quei paletti sono “dispositivi di
protezione” dell’ordinamento, così come le mascherine lo sono per la salute. L’una sfera può essere
metafora dell’altra, perché entrambe sono funzionali alla “salvezza”.
Quest’anno di pandemia dovrebbe aver insegnato che serve “tenere la testa a posto quando tutti
intorno a te l’hanno persa” (R. Kipling). Sara davvero recepito quest’insegnamento?
“D’ora in poi, vedremo poteri esecutivi che cercheranno di controllare le informazioni fino a quando non consolideranno una sorta di” democrazia illiberale “
Il mondo del 2020 è caratterizzato da un’enorme disuguaglianza , con metà della ricchezza mondiale “concentrata in un gruppo di persone che potrebbero stare attorno a un tavolo da conferenza”, nelle parole del leader delle Nazioni Unite, António Guterres, che prevede che entro il 2030 ci sarà ci sono ancora circa 500 milioni di persone in estrema povertà.
Negli ultimi dodici mesi, il COVID-19 ha approfondito queste disuguaglianze, una realtà evidenziata dall’agenzia delle Nazioni Unite incaricata degli affari del lavoro, l’ Organizzazione internazionale del lavoro , che afferma che 2 miliardi di lavoratori del settore informale sono particolarmente vulnerabili.
Durante tutto l’anno, l’Organizzazione internazionale del lavoro ha pubblicato una serie di proiezioni che avvertivano che milioni di persone avrebbero perso il lavoro o sarebbero diventate sottoccupate .
Questa non è più solo una crisi sanitaria globale, è anche una grave crisi economica e del mercato del lavoro che ha un enorme impatto sulle persone
Ad aprile, l’entità della sofferenza del mondo è stata chiarita in un rapporto delle Nazioni Unite che ha dimostrato che la povertà e la fame stavano peggiorando e che i paesi già colpiti dalla crisi alimentare erano altamente vulnerabili alla pandemia . Dobbiamo mantenere in funzione le filiere alimentari in modo che le persone abbiano accesso al cibo che consente loro di vivere in modo che le persone in crisi siano nutrite e vive .
Per far fronte alle restrizioni ai movimenti imposte dal COVID-19, le società hanno trovato modi innovativi per nutrire i più poveri e vulnerabili , utilizzando i trasporti pubblici, nonché le forme tradizionali di consegna a domicilio e mercati mobili.
Un anno fa. Un mondo fa
Il 28 Gennaio 2020 è per l’Europa e la Germania una data storica.
Il 31 Gennaio 2020 è per l’Italia una data storica.
La prima riferisce al primo caso di Covid-19 in Europa, segnatamente in quella industriosa Baviera che è fulcro di molti scambi europei con il resto del mondo. Il resto del mondo, oggi, significa anche e soprattutto Cina.
La seconda data riguarda invece i primi due casi confermati in Italia del virus che ha cambiato il mondo. Si tratta di due turisti cinesi in visita a Roma; per arrivare invece al primo caso confermato di paziente italiano bisognerà attendere il 21 Febbraio 2020, il cosiddetto Paziente 1.
Di lì in poi, la spirale: eventi, acronimi, oggetti, scoperte, ricerche, susseguitisi di settimana in settimana, di giorno in giorno. Poco a poco, la nostra vita è cambiata: DPI, mascherine chirurgiche, FFP2, FFP3, con e senza filtro, tamponi molecolari e veloci, test sierologici, distanziamento sociale, autocertificazione, prima versione, seconda versione…, smart working, scuole chiuse, DAD, centri commerciali, cinema e teatri chiusi, fattorini, Amazon, locali chiusi, ristoranti chiusi, cucina d’asporto, rider (sia lode a loro!), caccia al runner, limite per le passeggiate a 200 metri da casa, bestie in gabbia: è lockdown! Già, il lockdown. La paura, la psicosi irrazionale, la solitudine attenuata solo in minima parte da una socialità nuova che prima veneravamo e a cui tutti noi ci siamo aggrappati come fosse l’ultimo ramo offerto dalla terraferma prima delle cateratte, percependone finalmente l’essenza effimera, l’inconsistenza. I social network, le app di messaggistica, le videocall.
Un anno fa era un mondo fa.
Ci alzavamo la mattina, chi si lavava e chi no (i secondi prendendo, immancabilmente, i mezzi pubblici), chi faceva colazione e chi no, chi andava al lavoro, chi andava a cercare un lavoro, chi a scuola, chi a vivere le routine della propria anzianità.
Il pomeriggio e la sera erano invece dedicate alle nostre faccende quotidiane o ai nostri hobby: la corsa, la palestra, il calcetto del giovedì, l’aperitivo del venerdì, la spesa infrasettimanale (c’è sempre qualcosa che manca), la raccolta dei figli a scuola, a sport, a musica, il torneo di burraco, tresette, bocce.
Quest’anno ci ha preso alla sprovvista costringendo la mia generazione (40-50enni) e quelle successive a vivere una situazione che mai i nostri genitori avrebbero per noi immaginato, quasi uno scenario bellico. E non dite che sto esagerando: chiaro che i nostri nonni alla vita di quest’ultimo anno avrebbero messo prontamente e convintamente la firma col loro stesso sangue, ma ogni classe vive e affronta le difficoltà che gli vengono lasciate sul piatto dalle generazioni precedenti e il coronavirus, queste difficoltà, le ha fatte saltare tutte; è stato un nemico inaspettato, per molti versi inedito, anche se le pandemie mondiali le abbiamo vissute per secoli.
Da un giorno all’altro ci siamo trovati ad affrontare sfide, soprattutto mentali, per le quali la società moderna, semplicemente non è attrezzata. Non lo siamo noi di mezz’età, come scritto sopra. Non lo sono i nostri genitori che hanno dovuto imparare a usare mezzi di comunicazione per loro semplicemente inconcepibili fino al giorno precedente. Non lo sono i nostri figli, costretti a rinunciare a quanto alla loro età hanno di più caro: fino all’anno scorso pensavamo fossero le console di videogame o i telefonini, in quest’anno abbiamo scoperto, sulla loro pelle, ahinoi, essere il contatto umano con i loro amici.
Confesso che mi si è stretto il cuore nel vedere mia figlia di 8 anni “ridursi”, in quei mesi bui tra la primavera e l’estate del 2020, a videochiamare la sua migliore amica per soddisfare un bisogno quasi fisico di interazione umana. D’altro canto ho tirato un sospiro di sollievo, per assurdo il coronavirus ha ricordato a tutti noi ciò che è veramente importante.
L’abbiamo capito nel momento in cui l’abbiamo perso: i parchi giochi vuoti, i punti di ritrovo abbandonati, gli ultimi saluti negati, gli incontri proibiti, il piacere di stare a casa per scelta e non per obbligo.
Non ho le competenze mediche per dire se si sia esagerato o meno. Ho capito che il governo italiano è stato tra i più prolifici al mondo nel comminare queste misure restrittive e, ciò nonostante, l’Italia resta ancora uno dei paesi più colpiti, quindi il sospetto che qualcosa non torni si affaccia.
Altri in questo speciale parleranno in maniera più compiuta di diritti negati, di consuetudini democratiche incrinate, di incompetenze al potere. Io mi limiterò a riflettere con voi sul nostro futuro.
In molti sostengono che non torneremo più al mondo di prima, che il coronavirus da pandemico diverrà endemico, ovvero “stagionale” come il virus dell’influenza e a tendere potrebbe persino sostituirlo.
Quindi, è un bene che con uno sforzo di ricerca immane e senza precedenti, molte case farmaceutiche siano arrivate a tempo di record a sintetizzare un vaccino efficace. Anche se, come pare, lo dovremo ripetere ogni anno, questo sarà l’unica arma che avremo per tornare a vivere compiutamente in questo nuovo mondo.
Ansiosi di guardarci negli occhi, l’unica parte non coperta dalla mascherina