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Dietro l’obbligatorietà vaccinale

Il vaccino per debellare il covid-19 è arrivato giusto l’altro ieri, non senza molte incertezze ad accompagnarlo. Ad oggi ci è impossibile sapere come funzionerà, se si limiterà a proteggere il soggetto vaccinato o se impedirà anche la trasmissione del virus stesso; non sappiamo per quanto durerà la sua copertura, né abbiamo chiaro come si svolgerà il piano vaccinale; di quante dosi avremo bisogno, se mai riusciremo ad averne in quantità sufficienti, dove ci vaccineremo, con quali tempistiche, quanto tempo ci vorrà perché una sufficiente parte della popolazione sia coperta, e non ultimo, quando le primule sbocceranno nei nostri centri storici.

Eppure, in mezzo a tutte queste incognite, c’è chi ha le idee ben chiare: l’unica via per uscirne è rendere obbligatorio il vaccino, a ogni costo. E se questo costo è una limitazione, se non addirittura quella che è una vera e propria “revoca”, dei diritti dei singoli individui, ben venga, è un sacrificio necessario. Per il bene di tutta la comunità.

Non ti vuoi vaccinare? Ti leviamo il diritto di voto.
Non hai fatto il vaccino e ti sei ammalato? Non meriti di essere curato.

Siamo in emergenza, ogni giorno centinaia di morti, ci ricordano. Al virus non frega niente della Costituzione; cos’è qualche diritto in meno di fronte al disastro economico, sociale e culturale che ci si prospetta?

È semplice, c’è chi dice, da “educazione civica delle Elementari”: la tua libertà finisce dove inizia la libertà dei più deboli a non essere contagiati. Quindi non ti lamentare se vieni punito.

Perché di questo si tratta: limitare, addirittura togliere, diritti come punizione.

Molto è già stato detto a proposito dell’obbligatorietà del vaccino, da noiosi giuristi che riportano ciò che hanno studiato per anni, e quindi non mi soffermerò sugli aspetti più tecnici.

Ma c’è qualcosa che secondo me non è ben chiaro nel discorso pubblico, un concetto essenziale che sta alla base della nostra convivenza civile, e che, a giudicare dalle numerose e recenti esternazioni di personaggi di spicco e non solo, non è stato ben interiorizzato:

lasciare passare l’idea che, in virtù di un’emergenza in corso, non solo si possa, ma che sia anche “giusto” e “inevitabile”, mettere da parte la Costituzione – ritenendola evidentemente non funzionale rispetto agli obiettivi perseguiti – e limitare, se non proprio togliere, i diritti delle singole persone come forma di coercizione, dimostra grande disprezzo, non nei confronti della legge, ma dell’individuo.

Della nostra individualità.

Come società, composta da individui con differenti interessi, ci diamo delle regole per sapere vivere tutti insieme. Regole che riflettono i nostri valori, l’idea di società che vogliamo essere.

Queste regole, questi valori, sono racchiusi nelle Costituzioni, che non sono semplici libretti d’istruzione da leggere una volta e poi dimenticare nel cassetto, ma vere e proprie bussole da non perdere mai d’occhio.

E a maggior ragione, nel momento di crisi, in mezzo alla tempesta, quando le emozioni, prima fra tutte la paura, prendono il sopravvento, bisogna tornare a guardare quella bussola e chiedersi se le proposte che facciamo rispecchiano l’ideale di società in cui vogliamo vivere.

La nostra Costituzione mette al centro l’individuo.
La persona.

E non è banale.
Non è scontato.
Non è sempre stato così, e non è così in tutto il mondo.

Vi basti pensare a cosa fanno i regimi a chi non si allinea all’idea “più giusta”, ai giornalisti incarcerati, ai manifestanti prelevati dalle strade da anonime forze speciali, agli oppositori che prendono il tè sbagliato, o a dottori che sbadatamente cadono giù dalle finestre, fino ad arrivare a chi è reo di essere nato di un’etnia non abbastanza adatta agli standard del resto della società.

E se credete che io stia esagerando, vi sfido a trovare le differenze tra la mentalità che sta alla base di questi esempi e chi non vede l’ora di punire il ritrovato nemico pubblico del momento, i cosiddetti no-vax, perché non meritevole di essere considerato nella sua individualità: in altre parole, di essere considerato come una persona.

Noi veniamo da quella esperienza. Sappiamo cosa significa scegliere l’interesse del gruppo sopra l’individuo per quella che viene fatta passare come necessità assoluta, e quali sono le conseguenze.

Per questo la nostra Costituzione, e non solo questa, riconosce il valore di ogni singola persona per il solo fatto di essere su questa terra, anche dello stronzo più stronzo a questo mondo, indipendentemente da opinioni più o meno meritevoli di considerazione.

Affermare che chi non vuole vaccinarsi non merita di votare o, nel caso si ammalasse, non merita di essere curato, è un discorso che non è nemmeno degno del peggior bar di tutto il mondo civilizzato. E forse nemmeno di essere tenuto in una giungla.

Chiunque pretende di togliere e levare diritti come se fossero gentili concessioni di sua maestà è, ai miei occhi, più pericoloso di uno con il naso che cola in metropolitana.

Vuol dire essere intimamente autoritari. Dividere il mondo in buoni e cattivi, meritevoli e non meritevoli.

E qui sta il punto: chi decide cosa è meritevole e cosa no. In base a quali principi, a quali procedure, perseguendo quali obiettivi.

Perché un no-vax non merita di essere curato? Perché non merita di votare?
è un modo per cacciarlo dalla società?
O un modo per piegare la volontà degli indecisi verso le decisioni considerate più giuste (da chi, poi)?

E questa mentalità, cosa ci dice di noi? O della società in cui vogliamo vivere?

Dietro quella che a prima vista può sembrare una noiosa questione di leggi e procedure che pignoli giuristi non fanno altro che ricordarci come se non avessero altro da fare nella vita, c’è tutto questo;

c’è lo sforzo collettivo di costruire un mondo nel quale nessuno individuo debba trovarsi nella situazione di non valere più come persona di fronte a forze più grandi di lui, siano esse tradotte in chi esercita il potere o nella maggioranza della popolazione.

Principi, leggi e procedure ci guidano in questa faticosa operazione, che è tutto tranne che intuitiva.

Non si tratta di solidarietà spiccia, o di essere buoni, o di non voler prendere decisioni difficili, o di lasciare impuniti coloro che recano danno al prossimo; non è nulla di tutto ciò.

Si tratta di capire cosa c’è dietro a quelle regole che ci siamo dati, quali tipi di valori esprimono, e se veramente siamo disposti a sacrificarli in ragione di un bene superiore.

Ma soprattutto, di essere consapevoli e pronti a trarre le prevedibili conseguenze delle nostre scelte.

Per poi non trovarci un giorno a pentircene.