Speciale Elezioni USA 2020 – Parte 4 – La riforma delle Istituzioni europee alla luce del sistema federale USA

La forma istituzionale degli Stati Uniti, nonostante il carattere federale dell’Unione, è quella tipica di uno Stato nazionale di tipo liberale; un organo esecutivo, la Presidenza eletta direttamente dal popolo, un’assemblea titolare del potere legislativo, il Congresso, composta di due camere, la Camera dei deputati ed il Senato ed ovviamente il potere giudiziario, culminante con la Corte Suprema Federale i cui membri in carica a vita sono eletti dal Presidente. La Presidenza, nel corso dei due secoli passati fino ad oggi, ha progressivamente aumentato le proprie attribuzioni assumendo col tempo il ruolo che oggi le conosciamo di sostanziale monarchia elettiva costituzionale, alla quale si contrappone, in un corretto bilanciamento di poteri, un parlamento altrettanto forte il quale, in virtù della titolarità del potere di spesa, può neutralizzare i poteri presidenziali.
Il resto del complesso istituzionale è fortemente federalista, con Stati nazionali dotati di ampio potere legislativo, ciascuno con un proprio sistema istituzionale ed elettivo.
È del tutto evidente che l’investitura democratica del governo e del parlamento, soprattutto grazie al meccanismo elettivo diretto e maggioritario, garantiscono al Paese la coesione più tipica di uno Stato nazionale che federale. Gli elettori, infatti, si dividono nelle tradizionali aree democratica e repubblicana, lasciando poco spazio a partiti estremisti, secessionisti, nazionalisti, regionalisti.
Così la vollero i padri fondatori nel 1787 quando gli Stati erano solo 13, e così funziona ancora bene dopo oltre duecento anni con l’allargamento ai 50 attuali.
Molto diverso il sistema istituzionale europeo, giacché quest’ultima non è uno Stato bensì una unione di Paesi che si sono dati alcune istituzioni comuni, cedendo una porzione di quella sovranità.
Per usare le parole del filosofo e politologo americano Michael Walzer “la Comunità Europea è l’esempio di un’unione di stati nazionali che non è né impero né federazione, ma una realtà diversa e forse una novità assoluta”.
Tralasciamo il complesso iter che portò dalla nascita della prima Comunità del Carbone e dell’Acciaio alla Comunità Economica Europea dei Trattati di Roma e all’attuale Unione Europea dopo quelli di Maastricht del 1993 e di Lisbona del 2007. Limitiamoci a ricordare che l’unione tra gli Stati europei nasce dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, dal sogno degli Stati Uniti d’Europa di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi alla ben più prosaica volontà di evitare il ripetersi di una guerra mettendo in comune le risorse del carbone e dell’acciaio prima, dell’energia atomica dopo e, nel complesso, favorire il progresso e la prosperità economica.
Di conseguenza, non si è mai pensato né era intenzione di alcuno, disegnare una costituzione di tipo federale bensì ci si è, almeno inizialmente, limitati a darsi delle istituzioni intergovernative che consentissero ai singoli Stati aderenti di trarre dall’unione il massimo dei vantaggi.
Fallita la riforma del Trattato per la Costituzione Europea firmata a Roma il 29/10/2004 a seguito dell’esito negativo del referendum in Francia, riforma che avrebbe dovuto adeguare le Istituzioni europee all’ingresso dei nuovi membri, dopo il Trattato di Lisbona del 2007 il sistema europeo si basa su quattro organi politici e tre tecnici.
Il Parlamento, eletto a suffragio universale, possiede il potere di controllo democratico sulle istituzioni europee, di decidere il bilancio, di approvare i membri della Commissione e condivide il potere legislativo con il Consiglio dell’unione Europea.
Il Consiglio dell’unione Europea, formato dai ministri dei singoli Stati, condivide il potere legislativo col parlamento quasi come un’assemblea bicamerale, gli compete il coordinamento della politica economica e sociale, il coordinamento della politica estera e sicurezza comune, conclude gli accordi internazionali e decide con una doppia maggioranza ponderata tra stati e cittadini.
Il Consiglio Europeo, composto dai capi di stato e di governo dei singoli membri, ha poteri di impulso politico e di decidere gli obiettivi con priorità generale
La Commissione europea con il potere esecutivo ed è l’unica titolare di quello di proposta di legge.
L’aspetto che più accomuna il sistema istituzionale statunitense e quello europeo, e che al contempo li differenzia da tutti gli altri sistemi democratici, è la netta cesura tra il potere legislativo e l’esecutivo, ma le similitudini si fermano qui.
L’elezione diretta del capo dell’esecutivo americano, il Presidente, e dei membri del Congresso fornisce sia formalmente che sostanzialmente agli Stati Uniti il primato della politica su tutte le altre istituzioni; la conseguenza più evidente è la possibilità di sottoporre gli organi decisionali a verifiche democratiche continue attraverso le elezioni.
Diversamente, in Europa viviamo in una situazione che i professori Dieter Grimm e Giuseppe Guarino non esitano a definire di deficit democratico1.
In origine il problema andava ravvisato soprattutto nel fatto che il Parlamento, per quanto eletto a suffragio universale dal 1978, non aveva effettivi poteri i quali spettavano alla Commissione nominata dal Consiglio europeo, ovvero dai governi dei singoli stati membri i quali avevano così, a livello europeo, poteri legislativi di fatto a livello nazionale non possedevano.
Oggi, a seguito delle diverse riforme dei Trattati, il prof. Grimm, il problema ravvisa due aspetti problematici.
Il primo è la mancanza di un nesso tra elezione dei membri del parlamento e lavoro da questi svolto, tra delega e responsabilità. In sostanza, le elezioni si svolgono sulla base delle formazioni politiche nazionali, essenzialmente su temi di politica interna mentre la formazione dei gruppi nel parlamento europeo avviene su basi completamente diversi, creando di fatto una cesura tra il voto e l’attività dell’assemblea.
L’altro problema va ravvisato nella trasformazione del Trattato europeo in una vera e propria costituzione, a seguito del trattato di Maastricht, dal quale possiamo far discendere quella che nella vulgata popolare viene definito lo strapotere della tecnocrazia europea (il prof. Grimm non usa questa definizione).
Le costituzioni nazionali, infatti, si incaricano di fissare le regole e i processi decisionali all’interno dei quali è la politica a muoversi. Diversamente, con il Trattato di Maastricht le istituzioni europee, Commissione e Corte di Giustizia Europea la quale, con diverse sentenze, ha stabilito la supremazia della norma europea su quella nazionale decidono da sé, in assenza di alcun controllo politico.
Da parte sua, il prof. Guarino individua la degenerazione descritta dal prof. Grimm poi in alcuni atti e momenti precisi, a partire dal regolamento 1466/97 che consente alla Commissione il controllo sui bilanci dei singoli Stati membri, seguito poi dal Fiscal compact e dal MES; tali sarebbero gli atti formali con i quali, realizzando un vero e proprio colpo di stato, l’UE che si sarebbe assunta poteri debordanti le attribuzioni originariamente concesse dagli Stati aderenti, determinando una progressiva perdita di potere dei parlamenti nazionali nei confronti delle istituzioni sovranazionali senza contrappesi democratici, con l’effetto di una progressiva deresponsabilizzazione dei governi nazionali, fenomeno che in Italia ben abbiamo sintetizzato, negli ultimi trent’anni, nello slogan pluri abusato “ce lo chiede l’Europa”.
Per entrambi gli autori il parlamento europeo non è un sufficiente contrappeso democratico e sarebbe un errore credere che la soluzione si troverebbe nel conferire ad esso più poteri, per le ragioni riportate sopra esposte dal prof. Grimm, ovvero la mancanza di rappresentatività.
A fronte ad una analisi condivisa del deficit democratico europeo, diverse le soluzioni dei due studiosi. Il prof. Grimm propone di far regredire l’Unione ad una semplice associazione tra Stati, ma con elezioni fondate sui gruppi parlamentari europei e ridurre il potere della commissione e della Corte di Giustizia Europea.
Il prof. Guarino propone invece di evolvere verso uno Stato Federale con la forma e i contrappesi democratici tipici di questa costruzione.
Noi, che inguaribilmente, crediamo che la politica più pragmatica e concreta sia quella basata sugli ideali, siamo convinti che vada fatto un passo in avanti in direzione di un’unione federale sull’esempio di quella americana.
Per fare questo, molto possiamo apprendere dall’esperienza americana e restituire il primato della politica alle istituzioni europee, al fine di rendere i processi decisionali effettivamente democratici e sanare la cesura tra elettori nazionali e amministratori comunitari:
liste elettorali transnazionali, potere di iniziativa legislativa al Parlamento europeo, elezione diretta del presidente della Commissione, un sistema bicamerale basato su una camera dei rappresentanti ed un Senato federale rappresentativo degli Stati, una polizia ed un esercito europei2 .

1. http://www.nomos-leattualitaneldiritto.it/nomos/claudio-de-fiores-brevi-considerazioni-sulla-democrazia-rappresentativa-in-europa/

Deficit democratico dell’Unione Europea, il difficile cammino verso la piena integrazione

2. http://piueuropa.eu/wp-content/uploads/2019/05/programma-elettorale-europa.pdf