Speciale Elezioni USA 2020 – Parte 2 – La polarizzazione del voto USA

Il 46° presidente degli Stati Uniti sarà il leader di un paese sempre più diviso e arrabbiato, un commander in chief che avrà il compito di ricomporre un’unità nazionale dopo quattro anni di presidenza Trump che, a suo dire (non solo suo, a onor del vero), hanno esacerbato le differenze tra gli average Joes a tal punto che le elezioni vengono da loro viste come terreno di scontro tra diversi stili di vita e non più come scelta tra differenti opzioni di governo.

Gli USA si sono sempre distinti per il carattere bipolare (absit iniuria verbis) della propria offerta politica; semplificando: un partito di destra – quello Repubblicano – e uno di sinistra – i Democratici.

Ciò che non è mai stato in discussione, almeno fino a un paio di decadi fa, era l’impianto generale (liberale) della democrazia americana. Per gli standard europei, poi, a chiamarla sinistra ci voleva una fantasia davvero prolifica. Tutto questo sta cambiando.

Come nel resto del mondo, d’altronde, anche negli Stati Uniti si assiste a una progressiva radicalizzazione del pensiero e delle opinioni, una sorta di moto di allontanamento continuo (e in continua accelerazione) tra gli elettori di idee diverse.

Il Pew Research Center, think tank con base a Washington dove si studiano gli andamenti demografici americani, da anni fornisce un’analisi assai interessante della polarizzazione nelle posizioni di voto degli elettori statunitensi che si riconoscono in uno dei due principali partiti.

Vi lascio il link allo studio completo nella bibliografia (con la notazione che i dati del 2014 sono contenuti nel paper The global rise of “fake news” and the threat to democratic elections in the USA, anch’esso linkato sotto), qui mi limito a darvi gli impressionanti risultati delle loro ricerche: nel 1994, il 64% degli elettori repubblicani aveva posizioni più conservatrici dell’elettore democratico medio; questa percentuale aumenta progressivamente nel 2004, arrivando al 70% e drasticamente nel 2014, quando raggiunge il 92% per attestarsi al 95% nel 2017.

A parti invertite, ovvero la percentuale di elettori democratici con idee più “liberal” dell’elettore repubblicano medio, i numeri sono persino più netti: si passa dal 70% del 1994 a una lieve flessione, 68%, nel 2004 fino agli incredibili salti del 2014 (94%) e del 2017 (97%).

In sostanza, gli USA vivono oggi in un contesto in cui Mr. John Doe, democratico da una vita, non ha più nulla da condividere con la sua vicina di casa Ms. Jane Smith repubblicana; si potrebbe dire nemmeno il modo di concepire la vita democratica del proprio paese.

Francesco Costa nel suo libro Questa è l’America, parlando di radicalizzazione delle idee, punta il dito su un personaggio molto controverso della storia recente del Partito Repubblicano: Newt Ginrich, ovvero l’ideologo del muro contro muro. Ginrich a metà anni ’90 si era posto un obiettivo: ridare al GOP la maggioranza al Congresso, quasi mai ottenuta dagli anni ’30. E decide di perseguirlo ribaltando la politica, fino a quel momento tenuta dalla destra americana, di ricerca del compromesso con la parte avversaria al fine di migliorare (dal proprio punto di vista, ovvio) l’iniziativa legislativa e far quindi andare avanti il paese come un tutt’uno.

Il nostro caro Newt si accorge che questa strategia non funziona e decide di far saltare il tavolo: il successo alle elezioni si ottiene non collaborando con la controparte, ma ostacolando il funzionamento delle istituzioni attraverso scontri (mediatici e in aula), sabotaggi e sotterfugi: smodato è stato il ricorso al gerrymandering da parte repubblicana negli ultimi due decenni. Il gerrymandering è quella pratica, vietata dal diritto, ma di fatto assai complicata da dimostrare nella pratica, di divisione dei collegi elettorali sulla base della distribuzione dei voti tra gli elettori ad essi appartenenti: data la distribuzione di voto in un dato stato, i singoli governi statali possono modificare i confini dei collegi elettorali al fine di massimizzare il risultato di partito portando a casa il numero maggiore possibile di seggi al Congresso.

Da Ginrich a Trump, si potrà obiettare, il passo non è stato certo breve, ma il trend di radicalizzazione delle idee conservatrici americane, dal rifiuto della scienza (George Bush jr., addirittura, fece ammettere nelle scuole testi pseudoscientifici di matrice creazionista), alla rinnovata spinta pro-life, alla copertura di casi di razzismo istituzionale, è innegabile.

Nel contempo, anche dal lato democratico si assiste ad un progressivo arrocco verso posizioni più socialdemocratiche. Recenti sondaggi Gallup, ad esempio, hanno mostrato come tra i più giovani la parola “socialista” sia vista con maggiore favore rispetto alle generazioni precedenti.

Se Bernie Sanders può a tutti gli effetti dirsi il padre politico di questa nuova tendenza, giovani e combattivi membri del congresso come Alexandra Ocasio Cortez, Ilhan Omar e Rashida Tlaib si sono fatti riconoscere nella legislatura appena conclusa per la loro intraprendenza e per le loro idee veramente rivoluzionarie (per il contesto americano, è bene sempre sottolinearlo): si va da proposte pienamente condivisibili come l’iniziativa Medicare for All (che punta a una doverosa copertura sanitaria per tutta la popolazione) ad alcune più divisive come il Green New Deal fortemente voluto da AOC e importantissimo nell’ottica della riduzione delle emissioni di gas serra, ma che implicherebbe un livello di controllo statale dell’economia semplicemente sconosciuto nella cultura statunitense, ad altre decisamente controverse come le critiche continue ad Israele (Omar e Tlaib sono stati addirittura tacciati di antisemitismo) o come l’innamoramento per la stravagante teoria economica che va sotto il nome di Modern Monetary Theory.

Insomma, in un simile contesto istituzionale, era solo questione di tempo affinché intolleranza e sfiducia reciproche arrivassero nelle strade.

D’altro canto, oltre alle condizioni politiche per una forte polarizzazione delle coscienze, il 21esimo secolo ci ha anche regalato presupposti geopolitici e socioeconomici a dir poco sfidanti, con la tecnologia ad agire da detonatore.

Per cominciare: le consecutive e sempre più gravi crisi economiche, come quella del 2008, hanno definitivamente aperto la strada anche negli USA agli aiuti pubblici, tesi al salvataggio di intere filiere d’economia nazionale (banche e automotive su tutte).

Continuando, la società aperta non piace più a nessuno. A destra è invisa perché porta immigrati e quindi, nella sua visione, disordine e delinquenza; a sinistra perché provoca il peggioramento delle condizioni salariali di chi già vive e lavora nel paese (chiedete a Bernie Sanders cosa pensi degli Open Borders).

Ancora, il terrorismo, sia esso stato causato da un peculiare concetto di “esportazione della democrazia” di parecchie amministrazioni del recente passato o da un sincero revanscismo politico-religioso di molti paesi orientali e mediorientali, ha tolto ai cittadini USA la certezza dell’inviolabilità del suolo americano.

Infine, la crescente consapevolezza che larghe fette della popolazione continuano ad essere escluse dai processi decisionali democratici, sulla sola base del colore della pelle, ha reso le già degradate periferie americane delle autentiche polveriere.

Sicuramente, non si può esaminare la questione della radicalizzazione delle idee senza prendere in considerazione il ruolo della tecnologia e segnatamente di internet e dei social media network. Sempre più cittadini formano le proprie opinioni sul web e gli americani non sono da meno, anzi; sempre più notizie arrivano da canali non ufficiali, pertanto non sono agevolmente verificabili e, soprattutto, non sono verificate a monte da professionisti; sempre più agenti disturbatori, autentici avvelenatori di pozzi, sfruttano queste tendenze per fomentare sempre maggiore odio tra diverse classi della popolazione.

La locuzione Fake News è ormai entrata nel nostro vocabolario quotidiano, mentre in quello ben più autorevole dell’Oxford University Press (l’Oxford Dictionary) addirittura è stato inserito il neologismo post-truth, ovvero post-verità, definito come aggettivo che si riferisce a o denota circostanze nelle quali i fatti obiettivi sono meno influenti nella formazione dell’opinione pubblica di quanto non lo siano le emozioni e i convincimenti personali.

Il subdolo mezzo che i social network ci hanno fornito a questo riguardo è dato dall’opportunità di ognuno di noi di costruirsi delle vere e proprie “bolle” di utenti affini per pensieri, idee, sensazioni.

Come nei meccanismi di formazione del branco, le idee progressivamente si radicalizzano in un processo di continuo feedback positivo verso le proprie posizioni. È naturale che quando due bolle si scontrano l’incomunicabilità sia totale. Non solo: la progressiva chiusura nel rassicurante bozzolo della propria posse, alimenta un sentimento di sfiducia verso i mezzi d’informazione tradizionali (gli unici a poter applicare un filtro – più o meno – obiettivo alla valanga di notizie dalla quale giornalmente veniamo sommersi), in una spirale sempre più stretta di isolamento e radicalizzazione.

Questo è il contesto che si troverà ad affrontare Joe Biden. Questa è la velenosa eredità che un convinto sostenitore del manicheismo politico come Donald Trump ha lasciato in capo al suo successore.

Speciale Elezioni USA 2020 – Parte 3 – La politica estera statunitense: Biden e Trump a confronto

L’articolo è stato ispirato dalle seguenti fonti:

  • Francesco Costa su Linkiesta – Come siamo arrivati a Trump – Questa è l’America radicale, secondo Francesco Costa (https://www.linkiesta.it/2020/01/america-francesco-costa-libro-repubblicani-democratici/)
  • Michele Marsonet su Bocche Scucite: Coronavirus e presidenziali Usa paure del mondo (http://www.bocchescucite.org/coronavirus-e-presidenziali-usa-paure-del-mondo/)
  • Peter Wehner su The Atlantic – The Democratic Party Is Radicalizing (https://www.theatlantic.com/ideas/archive/2019/04/progressivism-making-democrats/586372/)
  • David A. Graham su The Atlantic – Trump Is Radicalizing the Democratic Party (https://www.theatlantic.com/politics/archive/2017/10/symmetric-polarization/544059/)
  • Thomas E. Mann & Norman J. Ornstein – Let’s just say it: The Republicans are the problem. (https://www.washingtonpost.com/opinions/lets-just-say-it-the-republicans-are-the-problem/2012/04/27/gIQAxCVUlT_story.html?utm_term=.6d9d1f229e99)
  • Matthew Krauter su The Daily Illini – Opinion | Bernie’s failure reveals delimitations for radicalism (https://dailyillini.com/opinions/2020/05/05/opinion-bernies-failure-delimitations-radicalism/)
  • Marina Azzimonti & Marcos Fernandes per NBER WORKING PAPER SERIES: Social Media Networks, Fake News and Polarization (http://www.nber.org/papers/w24462)
  • Terry Lee per Emerald Insights – The global rise of “fake news” and the threat to democratic elections in the USA (https://www.emerald.com/insight/content/doi/10.1108/PAP-04-2019-0008/full/html)
  • Jocelyn Kiley per Pew Research Center – In polarized era, fewer Americans hold a mix of conservative and liberal views (https://www.pewresearch.org/fact-tank/2017/10/23/in-polarized-era-fewer-americans-hold-a-mix-of-conservative-and-liberal-views/)