L’ultima tornata elettorale del 20 e 21 settembre 2020 non ci ha consegnato risultati definitivi.
Il pareggio tre a tre nelle elezioni regionali ha visto la scontata conferma di Toti e Zaia e l’importante vittoria nelle Marche feudo della sinistra da parte del Fratello d’Italia Acquaroli. Confermato anche De Luca per il centro sinistra, molto meno scontata la vittoria del populista Emiliano in Puglia e dello schivo Giani in Toscana. Si segnala, anzi, un eccezionale 40% della improponibile leghista Ceccardi e un 38,8% del Fratello d’Itala Fitto.
Dagli editoriali odierni offerti dai principali quotidiani parrebbe sconfitta la Lega, perché non ha vinto, e vincitore il PD, perché non ha perso.
Ovunque in ritirata il M5S che risulta non determinante né nelle vittorie né nelle sconfitte del PD e mantiene una discreta base elettorale solo al sud, dove contende i voti a Fratelli d’Italia.
Si ripropone dunque l’equilibrio e l’incertezza che regna in parlamento tra l’alleanza non alleanza di PD e M5S al governo e la coalizione virtuale di destra sempre meno centro di Lega e Fratelli d’Italia, i quali prima o poi dovranno risolvere la questione di quale sia il partito di riferimento dei nazionalisti italiani.
Un verdetto, però, sembra essere uscito in maniera piuttosto chiara: l’irrilevanza politica dell’area laica, liberale, moderata, centrista, riformista, chiamatela come vi pare.
Uniti o separati che si siano presentati, Italia Viva, Azione, Più Europa e Forza Italia hanno raccolto le briciole, schiacciati dal populismo sovranista di destra e di sinistra. È infatti difficilmente negabile che la scelta di Zingaretti di corteggiare un M5S assai riluttante e attaccare apertamente Più Europa, ponga il PD nell’area populista.
Che succederà ora?
Al governo sembra poco o nulla: Zingaretti e, conseguentemente, la coalizione di governo restano stabili e puntano decisamente a fine legislatura per eleggere il Presidente della Repubblica ma, soprattutto, a me viene da pensare, per mettere le mani sulla valanga di soldi del Recovery Fund.
All’opposizione la Meloni marca stretta la Lega per la leadership della destra mentre l’astro di Salvini potrebbe essere messo in discussione dall’imminente processo e da una faida interna che ormai fatica a restare nascosta, soprattutto visto il successo elettorale di Zaia.
Nell’area laica liberale invece, ammesso che ne esista una, c’è il buio assoluto. Della Vedova, Renzi e Calenda talvolta si annusano, talaltra si ringhiano ma finché i rispettivi partiti resteranno schiavi del personalismo e delle ambizioni dei rispettivi leaders, c’è poco da attendersi che si formi qualcosa di più concreto.
Da ultimo, il referendum. È stata approvata una riforma importante, destinata ad incidere pesantemente sulla struttura delle istituzioni e sulla rappresentatività dei territori, imposto da un M5S che si avvia all’estinzione ed avallata da un PD che mira solo a sopravvivere. Mi domando di una riforma così cosa ce ne faremo.
Di sicuro, la grancassa della destra suonerà la canzone del Parlamento delegittimato all’elezione del Presidente della Repubblica e chiederà insistentemente la fine anticipata della legislatura
Insomma, in Italia non succede mai nulla di importante né le rivoluzioni (come quella del grillismo indubbiamente è stata) portano a veri cambiamenti.
L’unica cosa che ci resta da sperare, a parer mio, è che quelle poche personalità che hanno dato lustro al Paese e dal Paese sono state appoggiate nelle istituzioni internazionali, che hanno dimostrato competenze ai massimi livelli e godono del grande prestigio, decidano di restituire qualcosa al Paese e sporcarsi le mani battendo i marciapiedi della politica attiva.
Illusioni