L’intelligenza artificiale e il Transumanesimo

Avvertenza, questo testo contiene errori di ortografia in quanto è stato dettato a voce, a dimostrazione degli enormi passi avanti fatti dalla Informatica nell aiuto delle prsone malate o con disabilità gravi.

L’intelligenza artificiale produrrà un deskilling delle professioni medico-sanitarie. Può essere considerata una tesi realistica o è un problema di cogenza selettiva?

Ossia impone al sistema di valutazione del problema di operare selezione delle professionalità’?
Sono tutte le professioni messe in pericolo dalla pervasiva “vita artificiale”?

Ha poi senso parlare di vita e di intelligenza artificiale?

Quanta ironia c’era nei giganti che hanno coniato questo acronimo (AI)?

Cerco di analizzare ed argomentare.

Da quando (Zio) John McCarthy, inventò nel 1955 il concetto di intelligenza artificiale,  la stessa ha fatto passi da gigante diventando negli ultimi anni pervasiva e influenzando in maniera anche inconsapevole da parte degli utenti sia i comportamenti sia le decisioni finali

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McCarthy era un logico, e si distingueva per le sue conoscenze di logica matematica in relazione all’Intelligenza Artificiale. Una scuola di pensiero diversa, nata al MIT, propose l'”inclusione procedurale del sapere” usando piani di alto livello, asserzioni, e ponendo il primo Tassello di quello che è considerato il machine learning. 

La controversia che ne risultò è ancora attuale ed oggetto di ricerca.

In effetti risultano due piani concettuali completamente differenti con una approccio al concetto stesso di intelligenza artificiale anch’esso completamente differente.

McCarthy concepì e immagino l’intelligenza artificiale Infatti come frutto di una lavorazione raffinata della logica matematica,  attività  umana per definizione.

Il Massachusetts Institute of Technology andò oltre questa Concezione ponendo le basi per quello che è conosciuto come il machine learning, ossia semplificando, la capacità dei computer di generare codice autonomo modificando il proprio stesso programma.

Tanto visibile e’ la differenza fra un pensiero derivato primariamente dalla conoscenza e dalle attività umane rispetto al passo avanti fatto dal MIT volto a rendere l’intelligenza artificiale autonoma autoscrivente e autodeterminante, forse…

Al di là dei tecnicismi che non interessano In questa sede, l’orizzonte temporale della autosufficienza informatica si è fatto sempre più vicino,  (al netto della pleonastica nozione di necessità di alimentare queste macchine di energia)  ponendo le basi per una serio confronto su quelli che possono essere gli orizzonti temporali della  sopravvivenza di professionalità che per decine se non centinaia di anni hanno contraddistinto le attività’ umane.

I settori interessati dall’avvento dell’intelligenza artificiale sono i più disparati, risulta superfluo anche solo elencarli. Dall’agricoltura alla gestione del clima passando per la gestione dei processi industriali e delle decisioni strategiche ed operative fino ad arrivare alle attività una volta considerate appannaggio di professionisti più’ preparati e specializzati,  sembra che la AI  risulti più un pericolo che una opportunità. Le due cose convivono e il dilemma che si pone non è dissimile da quello che si trovarono di fronte gli amanuensi quando Gutenberg inventò il processo di stampa.

Lo stesso pericolo corre il professionista sanitario che vede interi settori di attività quotidiana e settimanale pianificata, essere ormai fattibili con l’utilizzo di una intelligenza al silicio.

Ma come vedremo dopo un piccolo panorama su quello che è lo stato dell’arte dell’intelligenza artificiale nel 2020 esistono ampi settori di attività che a mio parere sono e saranno scevri da questa sostituzione, una selezione del lavoro e del lavoratore che e’ punto nodale di ogni rivoluzione (industriale). 

Purtroppo tra paure, ritrosie e storie di fantasmi digitali, tra Industria (azienda) 4.0 e zappa digitale, tutto deve fare i conti con una carenza di manager e formatori in grado di governare il processo di trasformazione in atto nelle aziende  e nelle professioni. 

Una generazione di figure professionali tutte da inventare, con un background multidisciplinare, smart e informali, per parlare con ragazzi e ragazze di 17 anni che saranno consumatori ma anche innovatori e sperabilmente i nostri curanti. 

Per gestire la rivoluzione del digitale, c’è bisogno di una vera rivoluzione industriale e manageriale dell’azienda stessa come concetto puro, che sappia mettere insieme tutti gli attori e al cui tavolo siano presenti anche i manager, ma manager 4.0.

Ad esempio: l’Industria 4.0 potrà effettivamente creare quella che è stata definita una ‘fabbrica intelligente’, che utilizza una tecnologia all’avanguardia, compresi i sistemi informatici-fisici e la quanto-Informatica, Internet delle cose (IoT) e il cloud computing, al fine di monitorare e migliorare in maniera continua (kaizen digitale) i processi di fabbrica e prendere decisioni informate da remoto.

All’interno di queste nuove fabbriche intelligenti, i sistemi informatici fisici, controllati o monitorati da algoritmi basati su computer integrati con internet, creano copie virtuali del mondo fisico, al fine di comunicare tra di loro, e con gli esseri umani, attraverso l’Internet delle cose: frigoriferi, automobili e interi edifici hanno di fatto già la connettività di rete, permettendogli di inviare e ricevere dati.

Questi prodotti intelligenti connessi utilizzano i dati per creare nuovi modelli di business digitali che coniugano i computer e l’automazione insieme in un modo completamente nuovo, con i computer dotati di algoritmi di apprendimento automatico, consentendo al sistema di ‘imparare’ e operare con pochi input (Micro movements) da parte degli esseri umani, questi umani, tutti da inventare in quanto a professionalità, saranno i protagonisti e non i “decollati” negli anni a venire.

Per molti può sembrare una sciocchezza futuristica ma la maggior parte di queste tecnologie digitali sono in opera da tempo, il problema semmai è’ che molti non sono ancora pronti per l’applicazione su larga scala, e senza un serio investimento da parte degli operatori industriali o addirittura, senza l’assistenza significativa dei governi enormi quantità di progetti restano allo stato embrionale. 

Anzi, le PMI europee le Aziende anche sanitarie e i professionisti, senza un sostegno significativo del governo, faranno ben pochi progressi.  Serve più’ di una agenda digitale insomma.

Negli Stati Uniti ad esempio esiste la Smart Manufacturing Leadership Coalition (SMLC), un’organizzazione finanziata con $140 milioni di investimenti pubblici-privati, costituita da aziende hi-tech, produttori, fornitori, agenzie governative, università e scienziati, i quali hanno l’obiettivo comune di far progredire il concetto di industria smart e AI applicata.

Quasi tutte le università americane ad esempio hanno succursali industriali e commerciali,  Da Boston Dynamics (figlia del MIT) ne  è un esempio.

Ma occorre parlare un nuovo linguaggio ed ampliare il nostro vocabolario corrente, e anche a livello deontologico credo. Secondo un rapporto solo l’8% dei produttori EU ha una significativa comprensione dell’Industria 4.0, nonostante il 59% riconosca che la quarta rivoluzione industriale avrà un grande impatto sul loro settore.

Quindi, chiaramente c’è una buona dose di lavoro da fare, probabilmente qualcosa che sarà all’ordine del giorno nella nuova stagione manageriale.

Il progresso tecnologico continua a muoversi ad un ritmo senza precedenti, non c’è dubbio che le industrie tradizionali avranno bisogno di fare tutto il possibile per evitare di essere confinate dalla storia. Tuttavia una nota positiva esiste, mentre l’industria in generale, non ha avuto molti vantaggi dall’avvento di Internet, in futuro questi potrebbero trarre il maggiore giovamento, grazie ad aziende di consulenza hi-tech e alla spinta dei consumatori. Nei prossimi quindici anni le aziende industriali digitali aggiungeranno 15.000 miliardi di dollari al PIL globale.

Recenti rapporti evidenziano  inoltre come la maggior parte dei lavori dei prossimi anni non sono ancora stati inventati,  neanche a livello semantico, il mio stesso lavoro, professionalmente inquadrato come infermiere, e’ difficile da spiegare con una sola parola; e lo svolgo già’ da quattro anni.

Quindi la strada obbligata e la creazione e l’aggiornamento dei percorsi di formazione del personale (anche sanitario) che andrà progressivamente a perdere la propria identità di categoria per avere un profilo più sfumato e capace di interagire in maniera proficua con la AI così come con  l’essere umano.

Una rivoluzione, per l’appunto.

Il nodo del rapporto umano

All’alba di questa rivoluzione silenziosa tutte le professionalità di tutti i settori delle attività umane risultano coinvolte da questi poderosi cambiamenti.

Possiamo in buona sostanza e con buona approssimazione affermare che nel prossimo futuro non ci sarà una attività lavorativa sia professionale che meramente manuale che non avrà il supporto della intelligenza artificiale,  in molti casi la stessa sarà in grado di sostituire il professionista o il lavoratore manuale.

La sanità non è scevra da questo pericolo/opportunità e anzi già si giova dei vantaggi offerti dalle macchine  intelligenti.

l’altra faccia della medaglia è la probabile  sostituzione di tante figure sanitarie con altrettante interfacce artificiali.

Vediamo di capire insieme quali sono le professionalità più a rischio nel settore sanitario e quali sono i correttivi e i contenuti che i decisori e gli stakeholder devono iniettare nei percorsi di formazione dei nuovi professionisti della Salute.

L’intelligenza artificiale potrà sicuramente sostituire l’uomo ed il professionista sanitario in tutte quelle attività manuali che richiedono una precisione una  tempestività ed un presidio  impossibile da chiedere ad un essere umano. 

Resta il nodo del rapporto umano,  un argomento spesso sottovalutato e forse di difficile comprensione come attività di esclusiva pertinenza del Professionista sanitario.

Alcuni esempi possono aiutare, anche partendo da settori apparentemente distanti da quello della Salute ma che sono plasticamente simbolici nel rappresentare il nodo del rapporto umano.

Sappiamo  che già da tempo gli aerei di linea sono in grado di decollare, volare, atterrare e parcheggiare in maniera autonoma,  viene quindi meno se non già ora nel prossimo futuro la necessità di avere un pilota a bordo di un aeromobile,  il liner potrà in un futuro prossimo essere controllato da remoto, fatto decollare e fatto atterrare in autonomia dalla AI, rendendo la figura del pilota obsoleta. 

Esiste un bellissimo video su YouTube che mostra come un normale passeggero sia già’ oggi in grado di far atterrare un aereo senza avere alcuna conoscenza tecnica, semplicemente essendo guidato da remoto da un professionista del volo.

Quella che oggi può sembrare una provocazione o un semplice esercizio di stile nel volgere di pochi anni potrebbe diventare routine, ovverosia la scomparsa del pilota all’interno dell’aeromobile.  Ma c’è un ma.

Se infatti sarà possibile come già è possibile oggi  controllare un velivolo da remoto, altro discorso vale per gli assistenti di volo,  gli aerei di linea ospitano 300/400 passeggeri che per un tempo variabile dalle poche ore fino a voli intercontinentali di 15 e più ore ha bisogno e avranno bisogno di personale umano qualificato in grado di comunicare rifocillare tranquillizzare e “coccolare” i passeggeri.

Non è quindi peregrina l’ipotesi che la figura del pilota sparisca nei prossimi anni mentre la figura dell’assistente di volo acquisti sempre più importanza proprio per il fattore umano che lo contraddistingue. Il passeggero potrà’ In altre parole disinteressarsi a chi effettivamente sta pilotando l’aereo ma vorrà essere in rapporto umano con il personale assistente.

Lo stesso discorso può essere fatto per la ristorazione o per il turismo,  dove tutte le attività manageriali ripetitive potranno essere pianificate da una intelligenza artificiale capace di ottimizzare i modelli di business ed anche di crearne di nuovi, ma il cliente dovrà sempre essere servito da un essere umano capace di consigliarlo e di accudirlo,  e vorrà che il suo cibo venga cucinato da uno chef in carne ed ossa,  anche solo per farsi un selfie insieme.

Cannavacciuolo Cracco e Barbieri possono stare tranquilli insomma.

Ancora, non è fantascienza porsi il problema di come dovranno essere le aree di rifornimento nelle strade del futuro, quali servizi dovranno offrire e come saranno utilizzate sia dagli automobilisti sia dai mezzi che vieggeranno da soli. Questi ultimi, a ben vedere, sono quelli più prevedibili, privi come sono di esigenze diverse da quella di rifornirsi di energia: arriveranno alla loro postazione si riforniranno e ripartiranno. 

AI padrona di fare tutto in questo caso.

Un umano, che guidi o meno, è invece più creativo, sfumato e “fuzzy”, si pone quindi la questione di come occuparlo mentre la sua auto ricarica le batterie e/o riempie le bombole. Un automobilista nuovo che non starà’ in macchina aspettando che un addetto (che non esisterà’) finisca l’operazione o lavi il parabrezza, un automobilista perennemente connesso che magari ha lavorato al computer durante il viaggio e vuole prendersi un intervallo. 

Non basteranno più il classico caffè, o una bibita e un panino, servita’ empatia e relazione umana, anche per l’inevitabile allungamento dei tempi si sosta. 

Il tempo da passare nelle stazione di servizio sarà infatti inevitabilmente più lungo: e allora troveremo la palestra con il fisioterapista o una piccola beauty farm con un estetista, un PPS o una area di check up dove controllare il nostro stato di salute durante il viaggio con la consulenza di un medico o un infermiere e anche un counselor se del caso.

Passare quella mezz’oretta di ricarica, ci darà’ anche la possibilità di fare la spesa e i centri commerciali saranno certamente i luoghi per fermarsi a ricaricare le batterie, quelle umane stavolta, con esseri umani che ci servono.

Qualche mese fa mi sono imbattuto a Taiwan in uno dei tanti hotel che in Oriente stanno nascendo come funghi, puoi fare il check-in e il check-out senza interagire con nessun essere umano.  Devo confessare che sono noiosi freddi e asettici.

Non comunicano alcun tipo di emozione o anche di informazione che non sia prettamente determinata dal punto di vista della programmazione.  Non ti dando riferimenti e “dritte” sul posto migliore dove andare a mangiare un buon Nasi goreng o Bao; il momento giusto per andare in questo o quel monumento,  il mercatino migliore da visitare, ecc, ecc.

Una quantità di dati che sono un essere umano con le sue sfumature e con la sua capacità di essere incompiuto riesce a trasmettere a un’altrettanto incompiuto essere umano.

Mi piace la tecnologia che solleva il lavoratore da compiti banali come fare il check-in, il check-out o ordinare il servizio in camera, ma nonostante ciò mi mancherebbe gravemente l’interazione con gli umani imperfetti e incoerenti che incontro negli hotel.

Non ci piace e non ci piace’ essere coccolati e presi in cura (Care) da un computer e lo stesso discorso può e deve essere trasposto nell’ambiente sanitario propriamente detto, gli ospedali come le case di cura o riabilitazione, immediatamente.

Non è lontano Infatti il giorno in cui diagnosi prescrizioni terapie e persino interventi chirurgici di elezione saranno attività espletate da computer dotati di intelligenza artificiale,  questi attingendo in maniera istantanea a tutto lo scibile umano in materia di salute offriranno sicuramente una prestazione metodica migliore rispetto al singolo professionista, sia esso un medico un fisioterapista o un infermiere. 

La cura sarà’ appannaggio della AI, ma il prendersi cura credo di no.

Il terreno dove infatti, non tanto per limiti del sistema di intelligenza artificiale quanto per il gradimento e la piacevolezza,  il computer non sarà mai ospite gradito è in tutte quelle attività sanitarie che implicano un rapporto umano,  un rapporto clinico e fiduciario fatto di sfumature e interpretazioni, fiducia e relazione.

le attività sanitarie ad alto valore relazionale saranno sempre attività dirette ed “interpretate” da essere umani sempre, sempre e senza soluzione di continuità. Per tanti motivi, ad esempio,  perché la ricetta ce l’ha può scrivere una macchina ma i consigli gli vogliamo sentire da un nostro simile, o meglio da un nostro uguale.

A ben vedere tutte le attività nelle quali e’ ancora necessaria la centralità della figura umana sono attività che hanno un elevato valore di interazione umana, umano vuole umano,  tautologico ma vero,  attività nelle quali c’è bisogno di capire dalle sfumature del linguaggio  ma anche dalla tono della comunicazione qual è il problema da risolvere.

In molti numeri di pronto soccorso (Attività’ di cui mi occupo primariamente in Italia) all’estero, chiamando dal proprio smartphone si viene ascoltati da un operatore umano che parla la nostra lingua. E anche componendo il numero di emergenza della propria Nazione in Terra straniera si vieni trasferiti al numero di emergenza locale.

Negli Stati Uniti d’America e in Canada le chiamate d’emergenza indirizzate al 112 vengono trasferite automaticamente al 911; lo stesso avviene anche in alcuni Paesi dell’America Latina, come Costa Rica e Messico, e in alcune regioni dell’Oceano Pacifico, per esempio Vanuatu e Nuova Zelanda.

L’intelligenza artificiale,  è in grado capire che il telefono da cui stai chiamando è italiano e quindi anche se mi trovo a Londra come a Berlino come a Taiwan mi passa l’operatore che parla la mia lingua anche se ho composto il numero di emergenza sbagliato,  ma poi l’operatore deve capire e quindi deve essere in grado di svolgere la sua attività professionale parlando una lingua  che ha solamente studiato di cui non è padrone al 100%.

Ecco allora che il nuovo professionista della Salute deve già oggi e dovrà in seguito avere capacità relazionali che partono da quelle più meramente psicologiche fino ad arrivare alle  competenze linguistiche,  capacità di problem solving. Ma anche compassione,  pietà e accondiscendenza, empatia in una parola.

Ancora

Li abbiamo visti nei film, ne abbiamo approfittato nei videogiochi e ora sono arrivati: gli esoscheletri. Queste strutture robotiche daranno davvero un senso di invincibilità alle persone aiutando gli esseri umani a muoversi e sollevare pesi, o se stessi. 

Ad esempio, una tuta esoscheletro ha aiutato Matt Ficarra, paralizzato dal petto in giù, a camminare lungo il corridoio il giorno del suo matrimonio. In futuro, è facile immaginare come chirurghi, ma anche magazzinieri fisioterapisti e infermieri che si spostano intorno ai pazienti useranno gli esoscheletri su base giornaliera al fine di estendere la loro potenza muscolare, resistenza e capacità di sollevamento pesi. Un professionista sanitario liberato da questi carichi di lavoro sarà sicuramente più avvezzo al rapporto umano e a porre più enfasi ed attenzione al rapporto con il suo malato assistito.

Gli esoscheletri stanno già aiutando i professionisti medici a superare lunghe giornate di chirurgia routinaria. La BBC parla di un francese che è stato in grado di spostare tutti e quattro i suoi arti paralizzati con una tuta esoscheletro controllata dalla mente. 

Anche la FDA (Food and Drug Administration) statunitense ha riconosciuto la sua utilità per la riabilitazione. Nel 2019, ReWalk Robotics, una delle principali società produttrici di esoscheletri, ha annunciato che l’agenzia ha autorizzato il sistema ReoStore di tute morbide ReStore per la vendita ai centri di riabilitazione negli Stati Uniti.

In molte università anglosassoni e della mitteleuropa si stanno sviluppando dei corsi di infermieristica robotica,  al fine di preparare i nuovi professionisti ad un lavoro  di collaborazione e coabitazione con l’intelligenza artificiale i la robotica.

Avremo quindi un futuro con professionisti che attingono a diverse aree tecniche ed umanistiche un tempo distanti tra loro,  ma che avranno sempre come   Mission  il prendersi cura del proprio paziente.

Lo potrà fare un computer in futuro, un essere Senziente dotato di una intelligenza anche superiore a quella umana. Quello che credo è che gli esseri umani di questo come del passato secolo non sono pronti non tanto a perdere il proprio lavoro a causa della intelligenza artificiale quanto a dialogare umanamente con l’intelligenza artificiale.

Non certo in condizioni di estrema fragilità emotiva quali sono quelle tipiche della malattia,  della cronicità  o del fine vita.

Con tutta la fantasia e l’immaginazione di cui sono capace non riesco a vedere un robot stringere la mano a un paziente malato terminale di cancro.

Non ce lo vedo un robot aiutare un paziente terminale che non vuole più soffrire a porre fine alla propria vita,  sono momenti Supremi e privati che a mio giudizio vanno condivisi e andranno condivisi con altri esseri umani.

L’uomo del futuro, se ne esisterà uno, forse sarà adatto a questo salto teorico ma l’uomo del presente ancora no.

E’ fuori di dubbio infatti che saremo stati in in pochi anni in grado di far si che l’intelligenza artificiale produca e distribuisca robot umanoidi capaci di simulare il comportamento umano,  magari con prestazioni empatiche anche migliori delle umane. 

Ma questo rappresenta una contraddizione stridente, un non senso logico oltre che economico. 

Vediamo il perché.

Umano, troppo umano


È fuori dubbio che in un futuro prossimo arriveremo ad avere la capacità di costruire un  Androide completamente simile in tutto e per tutto ad un essere umano, sfumature caratteriali comprese. 

Alla Google I/0 del 2018 ha fatto scalpore la capacità’ della AI di avere tentennamenti tipici degli esseri umani al telefono, sappiamo che sono strategie di machine learning per far “prendere tempo” al computer mentre sta calcolando la risposta, un trucco insomma.

Del resto Ray Kurzweil ha previsto l’arrivo della singolarità tecnologica anni fa e i dati che sono in nostro possesso convergono tutti verso questa ipotesi.

La domanda Semmai è un’altra, non se avremo o no un Androide ma se ci servira’  un Androide e se la singolarità tecnologica avrà interesse a costruire un Androide uguale ad un essere umano.

Le 2 domande sono strettamente concatenate,  un Androide completamente identico a noi dovrebbe esserlo anche nei comportamenti,  negli orari di lavoro,  nel recuperare e riposare,  come i compagni umani.

Un Androide completamente umano avrebbe diritto ha dei diritti,  perché sarebbe di fatto una nuova forma di intelligenza dotata di emotività.

È proprio nel settore della cura sarebbe inammissibile pensare che un Androide che ha bisogno della sostituzione, magari di un braccio, venga barbaramente portato in manutenzione per poi ritornare ad occuparsi con gentilezza della cura dei malati.

Malattia o riposo si, manutenzione no se l’assunto è’ che siano uguali a noi.

Le amministrazioni degli ospedali o delle case di cura saranno quindi verosimilmente chiamati a nuove responsabilità ad oggi inimmaginabili.

Siccome l’oggetto della cura nella sanità è e sarà sempre l’essere umano è facile intuire che il paziente o malato o utente,  chiamatelo come volete, sara’ lo stakeholder di primaria importanza.

Fossi io uno di questi malati protesterei con l’amministrazione per la barbarie attuata nei confronti degli androidi.

In definitiva un Androide dotato di intelligenza completamente identica a quella di un essere umano, se mai sarà’ stato costruito, dovrà avere gli stessi diritti e gli stessi doveri dell’essere umano stesso.

Sono semplici provocazioni per ora trattando di argomenti che solo 20 anni fa avrebbero fatto ridere de più informate Platee.

Non è tuttavia da tralasciare e anzi da approfondire il concetto di diritto: sia per quanto riguarda l’utente del sistema robotico di intelligenza artificiale che l’intelligenza artificiale e il robot stesso.

Distruggerete il robot con cui vostro figlio malato ha instaurato un rapporto privilegiato? Sarebbe possibile per semplice regole di mercato sostituire robot a scadenze fisse perché quello vecchio è diventato obsoleto,  anche se piace a nonno o a nonna?

L’assunto teorico è che stiamo parlando di robot completamente identici sia dal punto di vista funzionale che dal punto di vista emotivo agli esseri umani.

Distruggere un robot di questo genere perché non dovrebbe essere considerato omicidio?  Strappargli un braccio perché non dovrebbe essere considerata violenza se l’essere umano dotato di protesi bioniche invece venisse, come deve essere, tutelato?

Ma allora la domanda da porsi è semmai un’altra; se questi robot umanoidi dotati di intelligenza artificiale sono capaci di sostituire in tutto per tutto l’uomo perché sono identici all’uomo, perché’ costruirli?

Neanche la prossima ventura singolarità tecnologica avrà’ interesse a costruire questo tipo di robot,  ad utilizzare questo tipo di intelligenza artificiale per sostituire completamente l’essere umano, sarebbe un non senso logico anche per la AI.

La sostituzione umanoide non funziona né dal punto di vista della intelligenza artificiale nei dal punto di vista dell’essere umano.  

Allora per chi farla? 

Perché farla?

Sono domande non semplici cui non so dare una risposta che non sia la totale impossibilità e superfluità della costruzione di un robot completamente umano.  

Semplicemente non ci serve e non ci servirà.

Sostituzione umanoide?

Molti sostengono che gli esseri umani abbiano distrutto il nostro pianeta. Per questo motivo queste persone si sforzano di salvarlo grazie all’intelligenza artificiale. La fame, l’estinzione degli animali e la guerra potranno essere tutti prevenibili un giorno con l’aiuto della tecnologia.

Aiuto e non sostituzione, collaborazione e non un piano kalergi 4.0 è quello che mi immagino.  in tutti i settori l’intelligenza artificiale sta già dando grandi frutti,  ma sempre affiancata a professionalità nuove con una Vision diversa è una propensione al cambiamento tecnico culturale nuova e costante.

Non spariranno i posti di lavoro a mio modo di vedere spariranno i vecchi professionisti per lasciare spazio a nuovi professionisti che abbiano, anche nel contesto delle professioni sanitarie, una preparazione completamente diversa rispetto a quella che viene fornita dai nostri obsoleti percorsi di formazione. 

Davide Giacalone scrive del Frankenstein contemporaneo:

Il problema non è quello dell’intelligenza artificiale, ma della scarsezza naturale in capo a chi la descrive come un pericolo. Il mito negativo è antico, il suo paradigma sempre uguale: la macchina, sia essa un computer o un assemblaggio di cadaveri, dopo essere stata creata prende coscienza di sé e si rivolge contro il proprio creatore. Una specie di darwinismo degli oggetti.

Aiuto e non sostituzione.

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